Prima giornata di questi Giochi con due ori per l’Italia, pardon per Brescia, pardon per Roncadelle, il paese dell’hinterland che gli sportivi della mia generazione legano al pilota di Formula 1 Bruno Giacomelli, pardon Jack O’Mally. Nel breve volgere di un quarto d’ora, poco dopo le 18 del primo agosto, il canoista Giovanni De Gennaro ha conquistato la medaglia più preziosa nello slalom K1, imitato a stretto giro di posta dalla judoka Alice Bellandi, dominatrice della categoria fino a 78 kg. Ma oltre alla giornata degli atleti bresciani, é stata anche quella delle ragazze di nome Alice. La già citata Bellandi, la fiorettista Volpi che ha vinto i tre assalti nella finale persa dalla squadra azzurra contro gli Stati Uniti e della ginnasta D’Amato, protagonista di una strepitosa finale all’All Around che l’ha vista chiudere al quarto posto a un solo decimo dalla statunitense Lee, già oro tre anni fa. E dire che la giornata era iniziata nel modo peggiore, con i due olimpionici della 20 chilometri di Tokyo, quando fu Marcia trionfale (1976, per la regia di Marco Bellocchio, con Franco Nero, Michele Placido e un’incantevole Miou-Miou) entrambi fuori dal podio, sia pure con modalità ben diverse. Massimo Stano infatti, pur fermato in primavera da una frattura al piede che ne ha condizionato la preparazione, si è classificato al quarto posto, a un secondo soltanto dal podio, mentre Antonella Palmisano si è ritirata al tredicesimo chilometro, dopo aver perso contatto dalle migliori. Entrambe le gare sono iniziate con mezz’ora di ritardo, dopo che intorno alle sette un nubifragio si era abbattuto su Parigi (la giornata si chiuderà con una seconda passata, Giorgio Gaber, Lo shampoo, 1973): quella maschile, vinta dall’ecuadoregno Pintada, con il fresco; la successiva, dominata dalla cinese Yang Jiayu, con temperatura estiva. (In apertura le medaglie d’oro Alice Bellandi e Giovanni De Gennaro a Casa Italia. Le immagini sono di Franco Bassini).
I due azzurri potrebbero tornare in gara nell’inedita staffetta in calendario mercoledì 7, anche se restano da verificare le condizioni della caviglia di Stano, vittima di una destabilizzante distorsione intorno al diciassettesimo chilometro. Lontani gli altri quattro azzurri, che hanno comunque ultimato la gara, la quarta in un’Olimpiade per Eleonora Giorgi (…), probabilmente l’ultima per la trentanovenne Valentina Trapletti che a giugno a Roma aveva perfezionato la doppietta continentale con la Palmisano. “Non so spiegarmi cosa mia sia successo – è stato il commento della campionessa in carica -: ero pronta, tranquilla, eppure non ho retto cambi di ritmo che in allenamento non erano mai stati un problema. Forse una giornata no, non siamo robot, troverò la forza per rialzarmi”. “Ho dato il massimo ma non è stato sufficiente – le prime parole di Stano -. Una medaglia è sempre bella, ma non era scontato essere qui con 55 giorni di preparazione, quindi per me è una mezza vittoria”. Dal Trocadéro, dove si sono concluse le gare di marcia, mi sono spostato all’arena Eiffel Champ-de-Mars, che ospitava quelle di judo maschile al limite dei 100 kg e femminile -78 kg. Quando sono arrivato nella tensostruttura che ha inglobato un giardino, tant’è che in mezzo alla curva alla sinistra della tribuna stampa campeggia una statua equestre, Alice Bellandi aveva già vinto i primi due combattimenti e si era qualificata per la semifinale in programma nel pomeriggio. Quasi subito ho saputo dell’esito dell’atteso combattimento tra i pesi welter Angela Carini e Imane Khelif, di cui si era fatto un gran parlare e scrivere alla vigilia per gli elevati valori di testosterone dell’algerina e al quale temo verrà dato più spazio che alle medaglie, a maggior ragione dopo le prese di posizione della politica e in particolare di quella parte che fa del vittimismo una delle sue caratteristiche identitarie, giusto per usare un termine che a loro muove gli ormoni (e così restiamo in tema).
E dire che le immagini si commentato da sole: il match (…) è durato una quarantina di secondi, compresi quelli passati all’angolo dall’azzurra. “Quando si è avvicinata – ha raccontato il maestro Renzini – pensavo avesse un problema con il caschetto, invece mi ha detto: mi fa male il naso, non voglio continuare. Le ho chiesto se voleva provare a finire il primo round, così avremmo avuto un minuto di tempo per decidere il da farsi; Angela si è girata ha ritentato qualche secondo poi è tornata da me e mi ha detto: basta, non voglio più combattere. Allora ho fatto un cenno all’arbitro che ha interrotto il match”. Le immagini televisive mostrano un Renzini perplesso, al quale Carini replica spazientita: mi ha fatto troppo male, mi ha fatto malissimo. Aggiungo soltanto che la Khelif partecipò anche ai Giochi di Tokyo, dove venne eliminata al secondo turno dall’irlandese Harrington, che poi conquistò l’oro, che si è presentata a Parigi con un record di nove vittorie e cinque sconfitte, e che lei e la Carini si sono allenate insieme più volte nel centro federale di Assisi, che ha ospitato la rappresentativa algerina, come ha ricordato il direttore tecnico Emanuele Renzini, il quale, in un’intervista a Il Napolista ha confessato: “Avrei preferito non salire sul ring per niente, almeno sarebbe stata una protesta. Così veramente mi lascia sconcertato”.
Qui la premiazione di Alice Bellandi
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Ma torniamo al pomeriggio di giovedì nell’impianto che oltre al judo ospiterà la lotta e il beach volley. In semifinale Alice Bellandi, nata e cresciuta a Brescia, poi trasferitasi a Roncadelle (che è anche il paese di Anna Danesi, capitana della nazionale di volley: hai visto mai…) ha battuto la portoghese Sampaio e quindi l’israeliana Inbar Lamir, per poi abbandonarsi alla commozione, che l’ha accompagnata anche durante la cerimonia di premiazione e l’inno (molto politically correct l’invito dello speaker “please stand, if you can”) che sono state precedute da un saltellante Al Bano che ha cantato Felicità. Il trionfo della judoka era stato preceduto di poco più di un quarto d’ora da quello nello slalom K1 di Giovanni De Gennaro (“ Viva Brescia – ha esclamato la Bellandi quando l’abbiamo informata in zona mista – è una bellissima città, venite a visitarla”). Una vittoria che il trentaduenne ha dedicato al suo allenatore Daniele Molmenti, già oro nella specialità a Londra 2012 (Molmenti di gloria), che il primo agosto compiva gli anni, e che proprio nel giorno del suo compleanno aveva conquistato l’oro olimpico. Il trentaduenne canoista azzurro, alla terza esperienza a cinque cerchi, ha spiegato di aver vinto la gara anche scegliendo un profilo basso nella precedente semifinale, quando non ha forzato nel finale, chiudendo con l’ottavo tempo dei dieci qualificati. “Sono così partito come terzo, ho fatto un’ottima discesa e ho messo pressione ai miei avversari, che hanno dovuto prendere dei rischi per cercare di battermi, finendo per sbagliare”.
E poiché ci sono giornate semplicemente magiche, sempre intorno alle 18.15, a Bercy, Alice D’Amato iniziava la sua finale all’All Around, con l’intento di ben figurare in una gara il cui podio sembrava già assegnato alle due statunitensi Simone Biles e Sunisa Lee e alla brasiliana Andrade. E così è stato, con la reginetta dei Giochi a imporsi nettamente nonostante un errore alla parallela, bissando il successo di Rio e diventando la terza ginnasta al mondo capace di vincere due volte il concorso generale olimpico (la prima fu la sovietica Larisa Latynina nel 1956 a Melbourne e nel 1960 a Roma, seguita dalla cecoslovacca Vera Časlavská a Tokyo 1964 e Città del Messico 1968) ma con la ventunenne genovese trapiantata a Brescia capace di competer fino alla fine per una medaglia, classificando al quarto posto con un distacco di 132 millesimi dalla campionessa di Tokyo. Alice D’Amato, inserita nelle rotazioni delle otto migliori in virtù dell’ottima prova di qualificazione, ha iniziato con 14,000 al volteggio, cui ha fatto seguito lo straordinario 14.800 alla parallela che, se ripetuto domenica nella finale di specialità, probabilmente varrebbe una medaglia. Dopo una trave eccellente 14.200) la portacolori della Brixia era terza, sia pure con 44 millesimi di margine, per poi venire scavalcata in extremis dalla Lee al corpo libero. Il suo quarto posto diventa il miglior piazzamento olimpico di una ginnasta italiana nel concorso generale e consacra Alice nel gotha mondiale: tra gara di qualificazione, finale a squadre e All Around ha saputo inanellare in cinque giorni dodici esercizi di altissimo livello, senza commettere errori, ma soltanto alcune imperfezioni, come il passettino fuori perimetro dopo la prima diagonale dell’esercizio conclusivo. Per la cronaca, una fotografia che gira sul web certifica un fuori linea della Lee al volteggio, non visto e quindi non sanzionato dalla giuria…
La giornata finora più preziosa per l’Italia si è conclusa al Grand Palais, dove le fiorettiste azzurre, che in mattinata avevano travolto 45-14 l’Egitto e nel pomeriggio piegato 45-39 il Giappone, sono state battute con lo stesso punteggio dagli Stati Uniti. Detto che si tratta dell’ottavo podio olimpico consecutivo, la finale non ha avuto storia, nonostante l’eccellente prova di Alice Volpi e il generoso assalto finale di Errigo: le statunitensi hanno sempre guidato nel punteggio, a partire dal 5-4 della Keifer ai danni proprio della portabandiera italiana. La gara è di fatto finita sul 35-26 propiziato dal 5-1 di Weintraub su Palumbo, con tanto di mano portata all’orecchio dall’americana per irridere il pubblico schierato massicciamente dalla parte delle azzurre, come peraltro ho sempre visto accadere al Grand Palais. Una nota personale di dubbio interesse per il lettore come conclusione: fiducioso che potesse essere la giornata dei bresciani, ho indossato una maglietta regalatami da Piergiorgio Cinelli, cantautore e tante altre cose di Sarezzo, con la scritta “VE CHE CHE TA FÓ NIENT”, vieni qui che non ti faccio niente, frase tipica delle mamme delle nostre parti dopo una marachella: tu ti avvicinavi fiducioso (le prime volte…) e slam, ti arrivava uno scapaccione. Ha portato bene. Già lavata, pronta per Jacobs.