Midnight in Paris 2024 – l’Olimpiade ai nastri di partenza

Arieccoce, come direbbe il primo ministro nel suo italiano forbito e privo di inflessioni dialettali. Tre anni dopo Tokyo 2020 (il Covid ha scompaginato anche l’aritmetica) il nostro sito torna a seguire i Giochi olimpici estivi con una rubrica che abbiamo deciso di chiamare Midnight in Paris, in modo da prendere due piccioni con una fava (ma lo dice – lo scrive – ancora qualcuno?): citare il titolo di un film e fotografare il contesto in cui verrà scritta, ovvero a fine serata nella capitale francese. Nella precedente occasione, optando per Man from Tokyo, ci eravamo liberamente ispirati a un pezzo dei Deep Purple, Woman from Tokyo, brano di apertura del non indimenticabile Who Do We Think We Are (1973) e sotto questo profilo, la scelta attuale rappresenta un segno di continuità, dato che Midnight in Paris (2011) non è certo il miglior lavoro di Woody Allen. Se poi ampliamo gli orizzonti, mantenendo lo stesso orario, vengono in mente film come Round Midnight di Bernard Tavernier (1986) o Fuga di mezzanotte (Midnight Express) di Alan Parker (1976), ma anche Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) il cui titolo originale è in realtà The Hunger, La fame, che non sarà un capolavoro, ma vede protagonisti Catherine Deneuve e David Bowie, cosi diversi fra di loro da formare una coppia perfettamente assortita. Se invece avessimo privilegiato la città, ci saremmo potuti sbizzarrire tra Paris Blues di Martin Ritt (1961), Paris Calling di Edvin L.  Marin (1941) e Aria di Parigi di Marcel Carné (1954) o magari sconfinare nella letteratura per citare Mark Twain e il suo Finalmente Parigi, che sarebbe stato di grande attualità e pertinenza, visto che la capitale francese ha dovuto aspettare un secolo esatto per ospitare nuovamente i Giochi… (In apertura il poster ufficiale di Paris 2024).

 

 

Midnight in Paris, invece, anche se questa prima corrispondenza viene stesa con congruo anticipo, sfruttando la circostanza che le Olimpiadi ufficialmente si apriranno venerdì 26, anche calciatori e rugbisti hanno già tirato i primi calci. Giornata interlocutoria dunque, dedicata ad alcune incombenze logistiche, ma soprattutto a respirare l’aria di una metropoli che da un lato gonfia il petto per un’organizzazione che si annuncia impeccabile (pensate che già a Tokyo erano stati resi noti impianti, programma e addirittura orari di gara), dall’altro guarda con fastidio ai milioni di sportivi che hanno cominciato ad affluire (con relativa, fastidiosa  impennata dei prezzi: il biglietto del metro è per esempio passato da 2,10 a 4 euro) e con preoccupazione alla possibilità di atti terroristici, considerando che per due settimane abbondanti Parigi sarà il centro del mondo e dunque il luogo ideale per “fare il botto”. Come conseguenza di questi (crescenti) timori, negli ultimi giorni sono fioccate le disdette, dopo che i biglietti erano andati a ruba sin dal momento in cui erano stati messi in vendita, complici la crisi d’astinenza dovuta alla precedente edizione disputata a porte chiuse, l’indubitabile fascino della capitale francese e il ritorno in Europa, dodici anni dopo i Giochi di Londra. E se martedì, sia la Gare de Lyon, dove sono approdato nel pomeriggio, sia l’aeroporto Charles De Gaulle dove è atterrato in serata il collega e amico che divide con me l’appartamento nel decimo arrondissement, non pullulavano di forze dell’ordine come era lecito attendersi, è bastato oggi avvicinarsi al centro per trovare una città in stato d’assedio. I celebri lungosenna, patrimonio Unesco dal ‘91, sono semplicemente inaccessibili e ogni luogo d’interesse storico e/o turistico, l’Hôtel de Ville, per fare un esempio, é presidiato in forze dalla Gendarmerie. Anche l’ingresso dei giornalisti nell’Mpc, il centro stampa principale, avviene soltanto superando una meticolosa perquisizione. In questo clima, l’innovativa, suggestiva scelta di far effettuare la sfilata delle rappresentative nazionali sui battelli lungo la Senna anziché all’interno dello stadio olimpico, mentre manifesta un’encomiabile volontà di non farsi condizionare dal terrorismo internazionale, a maggior ragione in una città duramente colpita nel decennio scorso, comporta dei rischi che possono essere limitati ma non certo scongiurati. Comunque 320.000 spettatori potranno assistere alla cerimonia di apertura del 26 luglio sulla Senna: 220.000 gratuitamente sulle banchine alte, ovvero la metà quanto previsto in un primo momento.

 

 

Ma torniamo allo sport. La notizia del giorno, per noi italiani, è la rinuncia di Sinner. Il numero 1 del mondo, serio pretendente a una medaglia in singolare, tra i favoriti anche nel torneo di doppio, in coppia con Musetti, si è arreso a una tonsillite (a uno delle mia generazione non sarebbe mai accaduto: non riuscivi a finire l’asilo che te le asportavano). Tre anni fa decise di non partecipare alle Olimpiadi di Tokyo, assicurando che sarebbe andato a Parigi per vincere. Affermazione a dir poco temeraria, in bocca a un ventenne, tant’è che fino allo scorso autunno l’ho ritenuta una guasconata. Il successo in Davis, quello di Melbourne e la conquista della vetta dell’Atp hanno invece dimostrato che quel pronostico non era un azzardo e francamente dispiace non poterlo vedere in azione al Roland Garros: lo sostituirà Vavassori, mentre il ritrovato Berrettini sta proseguendo il suo cammino sulla terra rossa di Kitzbuhel…
Varie ed eventuali. Il clima per il momento è ideale, con massime poco sopra i venti gradi e minime appena sotto. Non sono pochi gli amici che in questi giorni mi chiedono se assistere a un’Olimpiade, dopo essere stato a Pechino, Londra e Tokyo, rappresenti ancora un’emozione. A loro rispondo che, a differenza di quanto accade con le misure di un reggiseno, la quarta mi emoziona come la prima. In altri tempi l’avrei anche scritto, ma adesso è meglio evitarlo.