Midnight in Paris 2024 – Un tris di medaglie e Marcell Jacobs a testa alta

Buone notizie da Parigi, meno da Ancona e più in generale per gli eroi del primo agosto 2021. Nel giorno in cui Jacobs consegna allo statunitense Lyles lo scettro di uomo più veloce e Tamberi annuncia di essere ricoverato per una colica renale, l’Italia conquista la settima medaglia d’oro grazie alle tenniste Paolini ed Errani, che si aggiudicano il torneo di doppio, mentre lo straordinario Paltrinieri vince l’argento nei 1.500 metri, preceduto soltanto dallo statunitense Finke a tempo di record del mondo (14’30’’67), imitato dalla squadra maschile di fioretto, che crolla clamorosamente in vista del traguardo, arrendendosi al Giappone che passa dal 34-34 al 45-36 finale. Ma cominciamo dalla gara più attesa delle intere Olimpiadi, che non ha deluso le aspettative grazie a un finale al photofinish tra i due velocisti più pronosticati, Noah Lyles e il giamaicano Thompson, staccati sul filo di lana di soli 5 millesimi (9’’79 per entrambi), mentre Kerley ha guadagnato il bronzo con 9’’81. Il miglior Jacobs della stagione si è classificato quinto in 9’’85, migliorandosi di ben due decimi in 36 ore (sabato mattina aveva corso in 10’’05) preceduto dal sudafricano Simbine in 9’’82. A sottolineare il grande equilibrio che ha caratterizzato la gara provvede il 9’’91 dell’ultimo classificato, l’altro giamaicano Seville. A nemmeno un’ora dallo sparo della prima semifinale dei 100, Tamberi aveva postato sui social una sua foto nel letto dell’ospedale di Ancona, spiegando di essere ricoverato dal giorno prima, dopo aver avvertito una fitta a un fianco e di avere 38.8 di febbre e probabilmente un calcolo renale. Avrebbe dovuto rientrare a Parigi nella giornata di domenica e nel post si augura di poterlo fare entro lunedì, oltre a giurare che comunque si presenterà sulle pedana dello Stade de France. Ricordiamo che la gara di qualificazione è in calendario mercoledì mattina…(In apertura Marcell Jacobs saluta il pubblico durante la presentazione dei 100 m. Le immagini sono di Franco Bassini).

 

Qui i suggestivi giochi di luce a Saint Denis prima dei 100 m.
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In semifinale, esattamente come a Tokyo, Jacobs aveva chiuso al terzo posto, ma se nel 2021 aveva ottenuto il terzo tempo, stavolta doveva accontentarsi del settimo, in 9’’92, lo stesso crono di Turku, che lo collocava a un decimo dai giamaicani Thompson (9’’80) e Seville (9’’81); Lyles è lì a 9’’83 con un centesimo di margine sull’altro statunitense Kerley. Sono gli unici sotto i 9’’90: il podio sembrerebbe affar loro e, fatta eccezione per Seville, così avverrà. La giornata di atletica – seguita dal vivo a partire da metà pomeriggio, dopo aver assistito alla finale delle parallele asimmetriche e prima ancora aver fatto un po’ di turismo in centro, dove la mongolfiera-braciere è diventata meta fotografata al pari dei vicinissimi giardini delle Tuileries e del Louvre – ha fornito indicazioni promettenti per altri azzurri con ambizioni. Ci riferiamo al lunghista Furlani, che si è qualificato grazie a un salto di 8.01 per la finale di mercoledì; all’ostacolista Simonelli, che ha iniziato il suo cammino con un secondo posto e un confortante 13’’27 in batteria e a Pietro Arese che vedremo nella finale dei 1.500 di martedì. Finale alla quale non hanno avuto accesso gli altri due azzurri Riva e Meslek, i quali però tornano da Parigi con i nuovi primati personali. Sabato l’aveva realizzato il primo, oggi è toccato al vicentino che ha corso in 3’32’’77. Tre italiani sotto i 3’33’’ sono l’ennesima riprova dell’eccellente stato di salute dell’atletica italiana. Nell’arena di Bercy, il tredici non ha portato fortuna a una Alice D’Amato sempre più competitiva ai massimi livelli. Nella finale alle parallele, tredicesimo esercizio di questi Giochi per l’azzurra che in precedenza aveva fatto il pieno nella gara di qualificazione, nella finale a squadre e in quella al concorso generale, si è classificata al quinto posto, staccata di 267 millesimi da Sunisa Lee che ha conquistato il bronzo, proprio come era accaduto nella competizione individuale di giovedì. La medaglia d’oro è stata appannaggio dell’algerina Kaylia Nemour, fulgido talento non ancora diciottenne, che si è meritata 15.700, due decimi più della cinese Qiu, classe 2007, campionessa del mondo in carica. Alle loro spalle, la competizione per il bronzo, caduta la britannica Downe, ha visto protagoniste la già citata statunitense Lee, la belga Derwael e la ginnasta della Brixia, classificatesi nell’ordine e racchiuse tra il 14.800 dell’ultima medagliata e il 14.733 di Alice.

 

Qui l’esercizio di Alice D’Amato alle parallele
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“Una finale olimpica di altissimo livello – sono le prime parole del direttore tecnico Enrico Casella – con l’algerina e la cinese superiori a tutte e tre ginnaste a contendersi il bronzo. Comincia a risultare fastidioso fermarsi ai piedi del podio dopo una prestazione a dir poco eccellente, ma dobbiamo anche essere contenti di avere raggiunto questi livelli. Vediamo che cosa succede lunedì nelle finali a trave e corpo libero”. E veniamo alla medaglia d’oro di giornata, conquistata dal doppio Paolini-Errani che ha superato 10-7 al super tie break la coppia di russe senza bandiera (fossero state anche senza orario avrei potuto citare il primo album dei New Trolls, pubblicato nel ‘68) formata da Andreeva e Shnaider (37 anni in due) che pure aveva vinto nettamente (6-2) il primo set, sul finire del quale la Errani aveva guadagnato la via degli spogliatoi per un problema fisico. La replica delle azzurre è stata perentoria: un 6-1 viatico ideale per il mini terzo parziale vinto con autorevolezza. L’appuntamento più atteso della giornata tennistica era però la finale tra Djokovic e Alcaraz, vinta dal serbo grazie a due tie break senza storia, in virtù dei quali ha conquistato l’unico grande torneo che non figurava nel suo palmares, diventando il quinto tennista ad assicurarsi tutti gli slam e l’oro olimpico, dopo Serena Williams (ieri in tribuna) Steffi Graf, Andre Agassi e Rafa Nadal. Era chiaramente l’ultima possibilità e il fuoriclasse serbo al suo quinto assalto olimpico (fino a ieri soltanto un bronzo a Pechino) non se l’è lasciata sfuggire, nonostante i 16 anni in più rispetto al talentoso spagnolo, che per di più proveniva dai trionfi negli ultimi due slam, a giugno sulla stessa terra rossa del Roland Garros, a luglio sull’erba di Wimbledon, dove aveva battuto in finale proprio Nole.

 

 

Il 26 luglio del 2012 avevo avuto occasione di intervistare Djokovic appena fuori dal Villaggio Olimpico di Londra (il suo primo avversario sarebbe stato Fognini) e mi aveva colpito la convinzione con la quale aveva affermato che il torneo olimpico era più importante di uno slam, perché si gioca per il proprio Paese e non per se stessi. Non mi ha pertanto stupito che ieri le sue prime parole siano state per la Serbia e neppure una contenuta commozione. Mi è parso eccessivo invece il pianto disperato di Alcaraz, che lo ha addirittura costretto a interrompere la prima intervista. Mi chiedo: ma non aveva mai perso prima? Quando era bambino, non gli era mai capitato che qualcuno gli dicesse di no? Finora non era mai accaduto che le cose andassero diversamente da come pensava? Ma soprattutto: non si vergogna a piangere davanti a tutti? Lo so, non è il primo sconfitto che si scioglie in lacrime, ma proprio perché sono dieci giorni che assisto a queste scene (sceneggiate) comincio ad averne le tasche piene. E non di soldi, come questi che mio padre avrebbe definito bambini viziati.