Al maestro del cinema ungherese Miklós Jancsó (1921-2014) è dedicata l’ampia retrospettiva storica della 34ª edizione di Bergamo Film Meeting (dal 5 al 13 marzo 2016), realizzata in collaborazione con Magyar Nemzeti Digitális Archívum és Filmintézet, in occasione del restauro digitale delle opere del regista. Il suo primo lungometraggio è Oldás és kötes (Sciogliere e legare, 1963), che racconta il percorso esistenziale di un giovane chirurgo. Il film Szegénylegények (I disperati di Sandor, 1966), lo fa conoscere al pubblico internazionale e ne fa l’esponente di spicco della nuova cinematografia ungherese Jancsó matura uno stile molto personale: lunghi e audaci movimenti di macchina, piani-sequenza complessi che amalgamo, in una sintesi di grande effetto spettacolare, paesaggi, coreografie, singoli individui, la brutalità del potere, il desiderio di libertà. Csend és kiáltás (Silenzio e grido, 1968), Csillagosok, katonák (L’armata a cavallo, 1967), Sirokkó (Scirocco d’inverno, 1969) e Még kér a nép (Salmo rosso, 1972), sono alcuni titoli che hanno costruito la fama del regista ungherese. Il tema principale della sua riflessione cinematografica è la storia, con una scrittura che rifugge però in maniera decisa dai canoni del realismo socialista. Nei primi anni Settanta gira alcuni film in Italia, tra cui La pacifista (o Smetti di piovere, 1970), La tecnica e il rito (1974), Roma rivuole Cesare (1974) e il discusso Vizi privati, pubbliche virtù (1976), che trasforma la tragedia di Mayerling in un balletto erotico-funebre, in chiave austroungarica, sulla morte della famiglia.