All’interno del programma del Brescia Photo Festival c’è, fino al 30 settembre, ARCHIVE IN PROGRESS – Editi e Inediti che esplora l’universo creativo di Francesco Cito (Napoli, 1949) testimone di frammenti di storia, come i fatti di mafia e camorra, o i reportage realizzati in teatri di guerra come l’Afghanistan occupato dai sovietici nel 1980, il fronte libanese nel 1983, la Palestina, la Cisgiordania e la striscia di Gaza nel 1987, il campo profughi di Jenin nel 2002, l’invasione dell’Iraq in Kuwait e la guerra del Golfo del 1990; ma anche il palio di Siena e i matrimoni napoletani, fino alla Sardegna meno battuta dai flussi turistici e ai ritratti ai colleghi fotografi. La mostra, curata da Renato Corsini, raccoglie 150 fotografie in bianco e nero per la maggior parte inedite, preziose testimonianze di un modo di fare fotografia impegnato e colto, che si prefiggono di fare incursioni nel lavoro di Francesco Cito, osservando dall’interno la cifra del suo pensiero. L’esposizione si divide in due momenti: una prima parte documenta i reportage su temi di grande attualità, benché svolti negli anni ’80 e ’90, su Palestina, Coloni Israeliani, Islam e Russia; la seconda parte si focalizza sugli scatti realizzati in Italia, dai vigneti della Franciacorta ai vicoli di Napoli. (In apertura Francesco Cito, Momenti islamici a Peshawar,1998)
L’ inizio del lavoro di Cito in campo fotografico avviene nel 1975, con l’assunzione da parte di Radio Guide magazine. Gira l’Inghilterra, fotografando concerti e rocker. In seguito inizia a collaborare con The Sunday Times magazine, che gli dedica la prima copertina per il reportage La Mattanza. Successivamente collabora anche con Observer magazine. Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’Afghanistan occupato dall’Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati caduti in imboscate. Nel 1982-83 realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Nel 1983 è inviato sul fronte libanese da Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. È l’unico fotogiornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le varie fasi della guerra civile libanese fino al 1989. Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all’interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e della Striscia di Gaza. Seguirà poi tutte le fasi della prima Intifada (1987–1993) e la seconda (2000–2005).
Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il tedesco Stern magazine un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell’aprile 2002, è tra i pochi a entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco durante l’assedio israeliano, alle città palestinesi. Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e ancora clandestinamente a seguito dei Mujahiddin per raccontare la ritirata sovietica. Nel 1990, è in Arabia Saudita nella Gulf War con il primo contingente di Marine americani dopo l’invasione irachena del Kuwait. In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996. Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l’isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi.