La prima a venire allo scoperto è la più temeraria delle sezioni della Mostra veneziana, la Settimana Internazionale della Critica, che celebra quest’anno i suoi 35 anni di indipendenza (targata SNCCI) all’interno della kermesse del Lido. Del resto, per una sezione dedicata alle opere prime – sì, insomma, una sezione che va in cerca di nuovi talenti, la temerarietà non è certo un lusso. Eccoli dunque i primi sette (più due) film di cui abbiamo certezza, tra quelli che si vedranno sul Lido al tempo della pandemia. La selezione curata da Giona A. Nazzaro assieme alla sua commissione (Paola Casella, Simone Emiliani, Beatrice Fiorentino e Roberto Manassero) è composta da opere “capaci di raccontare il presente, il mondo e la Storia attraverso un cinema libero (ossia non sedotto dalla sua stessa mitologia)”, film capaci di “ripensare le forme del racconto popolare in piena deriva populista”, come puntualizza il Delegato Generale. E in effetti le linee prospettiche che si aprono, a leggere le informazioni sui film in cartellone alla 35ma SIC, sono molteplici e vanno dal cinema che racconta gli stati della realtà nel mondo, a un cinema che si muove lungo le molteplici linee dell’immaginario contemporaneo. Il messicano Jorge Cuchí (classe ’63, proveniente dalla pubblicità), per esempio, in 50 o dos ballenas se encuentran en la playa (50 or Two Whales Meet at The Beach) racconta quello che viene definito “un agghiacciante romanzo di formazione (anti)sentimentale” in cui due adolescenti con tendenze suicide si incontrano su WhatsApp per partecipare a Blue Whale, il terribile gioco in cui devi affrontare 50 sfide, l’ultima delle quali è ucciderti. Dalla Turchia di Erdogan, invece, Azra Deniz Okyay, 37enne videoartista e pubblicitaria (con esperienze parigine in Partizan, la società di produzione di Gondry), racconta in Hayaletler (Ghosts) un intreccio di storie urbane ambientate in un quartiere popolare in via di gentrificazione, tutte concentrate attorno a una partita di droga: “Un viaggio nel tessuto urbano di una città fra crisi politiche, desideri, conflitti, hip hop e speculazioni”. (In apertura un’immagine di The Book of Vision di Carlo S. Hintermann).
Un esempio di cinema civile come si faceva una volta viene poi dal film italiano in selezione alla SIC: Non odiare di Mauro Mancini, anche lui non propriamente giovanissimo (classe 1978) e con alle spalle una buona esperienza tra corti e, ancora una volta, pubblicità. Il suo film trova nel nord-est italiano la storia di un medico ebreo (interpretato da Alessandro Gassman) che un giorno incontra riverso per strada un uomo, vittima di un pirata della strada. L’istinto è quello di aiutarlo, ma quando vede sul suo petto un tatuaggio nazista…
Ancora più a est ci si spinge con l’ucraino Pohani dorogy (Bad Roads) di Natalya Vorozhbyt, 45enne di Kiev con trascorsi da autrice teatrale. Da una sua opera è infatti tratto anche questo suo primo film, in cui si intrecciano quattro storie ambientate nel Donbass martoriato dalla guerra: “Un teatro della crudeltà retto da uno sguardo filmico potente in grado di smontare la retorica della guerra”. Dalla Danimarca proviene invece Shorta della coppia Anders Ølholm e Frederik Louis Hviid, anche questa una storia di quartiere, in cui due agenti si ritrovano intrappolati nel cuore di una notte di tumulti scoppiati per la morte in commissariato di un ragazzo: “virtuosismo visivo e spettacolare assolutamente stupefacente”, per il quale i selezionatori della SIC evocano numi di tutto rispetto come Robert Aldrich e Walter Hill. Ancora una coppia dirige anche il film americano della 35ma SIC, Topside. Loro sono Celine Held e Logan George, trentenni già noti come sceneggiatori e considerati tra i nuovi talenti del cinema indipendente americano. La storia che raccontano in Topside è ambientata a New York, nel cuore più misero della città, in cui si muove una madre homeless con la sua bambina di cinque anni. È lituano invece il 43enne Marat Sargsyan, autore di Tvano nebus (The Flood Won’t Come), storia di un signore della guerra che si trova ad affrontare un conflitto scatenato nel suo stesso paese: “Un film dotato di una straordinaria compattezza visiva e formale e pieno di invenzioni narrative sorprendenti”, assicurano alla SIC.
Ci sono infine i due eventi speciali della Settimana della Critica: il già annunciato The Book of Vision dell’italo-svizzero Carlo S. Hintermann, un film “potentemente onirico e generoso” nel cui tessuto narrativo alternativo si intrecciano le esistenze di un medico del Settecento, in bilico tra animismo e spinte razionali, e di una dottoressa d’oggi che abbandona la sua carriera per mettere in discussione tutta se stessa e affrontare la sua malattia. Prodotto da Terrence Malick, il film di Hintermann aprirà la 35ma SIC assicurando un alto tasso di virtuosismo visionario, in linea con la lezione appresa dal regista sul set italiano di The Tree of Life. Un altro maestro, il grande Roberto Rossellini (evocato da Giona Nazzaro come nume tutelare della sezione che dirige) è al centro invece del film di chiusura: The Rossellinis di Alessandro Rossellini, figlio di Renzo, nipote di Roberto, che qui racconta dall’interno la storia di una famiglia che ha segnato il cinema mondiale. Ad accompagnare tutto questo ci saranno poi i cortometraggi italiani della sezione SIC@SIC, ovvero Short Italian Cinema@Settimana Internazionale della Critica, realizzata con la collaborazione di Istituto Luce-Cinecittà. Questi i corti selezionati: Accamòra (In questo momento) di Emanuela Muzzupappa, Adam di Pietro Pinto, Finis Terrae di Tommaso Frangini, Gas Station di Olga Torrico, J’ador di Simone Bozzelli, Le mosche di Edgardo Pistone, Where The Leaves Fall di Xin Alessandro Zheng, cui si aggiungono in apertura Les Aigles De Carthage – The Eagles Of Carthage di Adriano Valerio e in chiusura Zombie di Giorgio Diritti. Il tutto accompagnato dalla potente immagine ufficiale disegnata per la SIC da Fabiana Mascolo: una donna in Laguna che impugna una telecamera tra gondole sospese e ansie da pandemia.