Salvatore Ruocco: lassù qualcuno mi ama

Dal quartiere più duro di Napoli al miglior cinema contemporaneo. Salvatore Ruocco è uno degli attori italiani più interessanti e bravi, un volto che pare fatto per il grande schermo. Ha una storia da cinema americano (chissà se, anche per questo, è diventato attore e amico di Abel Ferrara). Cresciuto a Miano, quartiere perfino più difficile di Scampia, Ruocco diventò pugile, poi dopo una squalifica per aggressione all’arbitro, si ritrovò nel giro dei match clandestini. Il disgusto: «lì c’era il Male». Infine la rinascita come attore, dal teatro al cinema di Matteo Garrone (Gomorra), Leonardo di Costanzo (L’intervallo), Guido Lombardi (Là-bas, Take Five) e, appunto, Ferrara (Napoli Napoli Napoli, Pasolini e diversi nuovi progetti insieme). Ha appena esordito come regista, dirigendo The Stranger, un cortometraggio documentario realizzato con un iPhone, che possiede una purezza di sguardo davvero rara. In pochi minuti (meno di otto) racconta in modo diretto, potente e quasi “pasoliniano” la storia di Ameth Ba, immigrato apparentemente integrato, che ha subito violenze a Napoli e si fa emblema di un’odissea infinita dei nuovi poveri cristi di oggi, bersagli di rabbia e razzismo crescente. Nel film si alternano alla storia di Ameth, immagini di repertorio di migranti italiani dei primi del Novecento (quelli disegnati come topi dalla cartellonistica razzista statunitense), scene di barconi verso “Lamerica” italiana di oggi e brevi frammenti di corse di bambini di colori diversi. Anche il colore del film spesso “scolora”, virando al bianco e nero. Come a dire: in realtà l’essere umano non ha colore, solo tonalità diverse, mentre la Storia pare ripetersi all’infinito. Nessun didascalismo, nessuna “lezione”, solo l’urgenza di mettere a fuoco la realtà in diretta e un nostro passato spesso dimenticato.

 

«Proprio Abel mi ha dato una prima idea su come girare il cortometraggio The Stranger. Chiacchierando con lui delle potenzialità di un telefonino per inquadrare la realtà, mi si è “accesa una luce dentro”. La storia ce l’avevo, mi mancava il “modo”, lui mi ha regalato quell’idea, oltre che una certa idea di cinema studiata lavorando con lui…».

Come hai conosciuto il protagonista Ameth Ba al centro del film?

È un ragazzo che vedevo spesso e una volta mi ha raccontato quello che gli era accaduto e la grave violenza subita. Gli ho chiesto «ti va di farti sentire?», mi ha detto «». Sono tanti gli immigrati che hanno subito storie analoghe di violenza. Ho pensato che la sua era emblematica, non volevo fare qualcosa di ridondante, mi sono limitato al suo racconto e poi, con la montatrice Alessandra Carchedi, abbiamo aggiunto immagini di repertorio di migranti italiani. Anche noi siamo stati migranti, ma sembra che abbiamo dimenticato la nostra Storia.

 

Su che canali sarà visibile The Stranger?

Inizialmente pensavo di metterlo su qualche sito Web, poi lo stesso Abel e alcuni critici mi hanno consigliato di aspettare e mandarlo a qualche festival. Abel mi ha detto che, in qualche modo,  il mio corto gli ricorda il suo documentario Piazza Vittorio che sarà a Venezia fra pochi giorni. Credo sia il complimento più bello che mi sia stato fatto. Vedremo, è una piccola cosa, ma importante per me. Vorrei soprattutto dare voce a chi non l’ha, come Ameth e tanti ragazzi come lui.

Episodi di razzismo durante le riprese?

Mentre giravo la scena con il bimbo nero che corre con i due bambini bianchi (i figli di mia sorella), sangue del mio sangue, una signora anziana che era sul posto ha cominciato a urlare «porta via questi animali, questi negri di merda…» (ci mostra il video, nda). C’è ancora chi parla così, perfino davanti a dei bambini, che sono gli occhi del mondo. Quella donna dicono abbia problemi mentali, ma, secondo me, sa bene cosa sta dicendo, dà sfogo verbale a un odio vivo e presente. Inizialmente pensavo di inserire quel frammento video di razzismo, oscurando il volto della donna, poi ho scelto di non farlo. L’odio fomenta odio e il colore della pelle non significa niente per me. Anche su Facebook appena ho postato alcune foto del film sono arrivati commenti razzisti. L’Italia in questo momento cova molto odio e troppa ignoranza. A Miano, per esempio, dove sono cresciuto, un amico gay ha avuto un’infanzia bruttissima, perché suo padre l’ha cacciato di casa appena ha scoperto la sua omosessualità. Storie come questa sono ancora all’ordine del giorno.

 

Hai citato Miano, dove sei cresciuto, ti va di ripercorrere la tua storia?

Vengo dal ghetto più duro di Napoli, un quartiere che non ti dà niente, a parte la delinquenza. Dopo avere combinato tanti guai, conobbi la boxe, grazie a un amico, e cominciai una carriera da pugile. Poi un giorno, durante un incontro, anche se stavo vincendo, mi ritrovo tutti contro: il pubblico che rumoreggia e soprattutto l’arbitro – palesemente di parte – che mi squalifica, dicendo che i miei colpi erano scorretti. Nasce una rissa, una sedia vola contro di lui. Ne parlò tutto il mondo del pugilato, perfino un giornale francese titolò: Pugile mette KO l’arbitro. Lui mi denunciò penalmente. Venni assolto, ma la mia carriera di pugile era finita.

 

Poi gli incontri clandestini…

Finii nel giro del pugilato clandestino, praticamente il “circuito della morte”. Robe che si facevano quasi solo in America e in certi posti di Parigi. Non esistevano quasi in Italia, se non nelle periferie di Napoli. Mettono questi pugili sui ring illegali, perché si massacrino di botte, e gli scommettitori tutti intorno, mandati da persone potenti e malate. Un giorno, dopo un match vinto, sentivo invece che la mia anima aveva perso. Mi sono visto a fatica allo specchio, con gli occhi pesti non mi vedevo quasi più, in tutti i sensi. Non mi sentivo più me stesso. Mi ha salvato un altro amico, un sacerdote, che mi ha fatto trovare la fede e mi ha comunicato a venticinque anni. Feci la prima comunione in mezzo a tanti bambini. Mi vergognavo un po’, il mio amico disse: «di cosa ti vergogni? Non possono sapere che è la tua prima comunione, puoi essere qui per comunicarti normalmente, mettiti in fila con gli altri…». Grazie a lui ho ritrovato me stesso e ho potuto finalmente rivedermi allo specchio.

 

A quel punto hai cominciato il teatro?

Sì, ho seguito alcuni laboratori di recitazione tenuti da Renato Carpentieri. C’erano molti ragazzi della Napoli bene. Mi guardavano strano, l’etichetta del quartiere te la porti addosso per sempre. Stavo in fondo, in disparte, poi però mi sono ritrovato primo della fila e dopo è arrivato anche il cinema!

 

Per diventare attore hai frequentato laboratori teatrali, ma dove hai studiato regìa?

La mia scuola di regìa sono stati i set in cui ho avuto la fortuna di recitare: ho osservato con attenzione il modo di lavorare di Abel Ferrara, Leonardo di Costanzo e tutti i grandi registi con cui ho potuto lavorare. Credo di essere un buon osservatore e, se studi dai migliori maestri, non puoi che avere buoni strumenti. Il resto della mia regìa sono pancia e cuore.

 

Ti manca mai la boxe?

Mi manca molto e sono convinto che, se fossi nato in America, sarei potuto diventare davvero un buon pugile. A casa comunque mi alleno ancora. Il sacco aiuta a tenere lontana la negatività. Uno dei migliori insegnamenti sulla vita ci arriva dal grande Muhammad Ali: «Dentro un ring o fuori  non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra».

 

Ho letto che Ali lo porti anche tatuato addosso.

Lo porto tatuato sulla spalla, oltre che nel cuore. Il mio sogno era poterlo incontrare. Nei miei anni di boxe, è stato l’unico modello buono che avevo. L’altro tatuaggio che porto sono le mani della Madonna sul bicipite sinistro, perché, dopo il pugilato, grazie a lei ho ritrovato fiducia. Sono convinto che lassù qualcuno mi ama davvero.