Prima di Luke Skywalker, della principessa Leia e della Ribellione. La promessa narrativa lanciata da Solo – A Star Wars Story si incasella tra le due trilogie della saga ideata da George Lucas –11 anni prima di Una nuova speranza– e tutto sommato si può dire mantenuta. Lo svelamento delle origini di un personaggio tra i più iconici dell’universo Star Wars e della catena di eventi che lo hanno portato a divenire il contrabbandiere più celebre della galassia a bordo del suo Millennium Falcon (con il volto di un indimenticabile Harrison Ford), è esattamente quello che ci si aspettava, in quanto a contenuti, da questo secondo spin-off dell’Anthology che porta la firma di Ron Howard alla regia, e di Lawrence Kasdan e figlio Jon alla sceneggiatura, confezionata nel rispetto dello spirito della saga (Kasdan è pur sempre tra gli autori storici dei film) ma anche fin troppo prigioniera di un dinamismo ludico che non trova contraltare in una spinta epica ed emotiva,che invece costituiva l’appiglio principale del precedente Rogue One, più ancorato ai temi cari ai fan delle guerre stellari, e decisamente più riuscito e coinvolgente.
Si corre in Solo, e si scappa. È come se la giovinezza di Han desiderasse di compiersi al più presto, scardinando l’acquisizione del tempo e quindi di tutta la formazione alla maturità, attraverso le rocambolesche e rutilanti corse, tentate rapine a treni, o appassionate fughe tra le strade caotiche di Corellia, il pianeta che Han tenta disperatamente di abbandonare per ambire a una nuova vita assiemealla bella Qi’Ra, anima affine di un presente da furfanti. È un ragazzo apparentemente come tanti, ma fin dai primi minuti del film, che si avvita subito in un susseguirsi di spericolate azioni, si agita un personaggio dal carattere determinato e sbruffone, ma anche idealista e fragile, ancora lontano dall’insolenza sardonica e disillusa dell’Han che verrà. L’avventura è il centro gravitazionale di ogni sbalzo narrativo, come se il bisogno del racconto fosse essenzialmente quello di accendere l’entusiasmo, semplice e divertito, di osservare le primordiali prodezze di Han, più che un suo reale avvicinamento alla mitologia della saga. Impensabile che Alden Ehrenreich, nonostante ci metta la faccia giusta, potesse eguagliare la presenza scenica di Harrison Ford (sarebbe stato profondamente ingiusto chiedergli questo): all’Han che conosciamo sarebbe bastato uno sguardo obliquo, una smorfia sardonica per illuminare la propria presenza, inutile immaginarne un confronto.Tra sequenze belliche e salti nell’iperspazio, parentesi romantiche (si pensi anche a quello concesso all’androide femmina L3-E7 legata a Lando Calrissian) e ribaltamenti di prospettiva dei personaggi,il processo di formazione di Han – che scopriamo acquisire il nome Solo per via dell’assenza di una famiglia (una banalità, si direbbe) e fare la conoscenza con Chewbacca nel modo più conflittuale possibile – passa per una diserzione dall’esercito imperiale e l’adesione alla banda di ladri di Beckett, tra il giocarsi a carte il Millennium Falcon e attraverso la rotta di Kessel in meno di 12 parsec, sempre e solamente legato all’avventura, insomma. Uscito da un trambusto produttivo (la sostituzione dei due registi iniziali Phil Lord e Christopher Miller), Solo è puro balocco, dove personaggi entrano ed escono (Tobias Beckett, Dryden Vos, la stessa Qi’ra) destinati prontamente all’oblio: l’epica resta in sottofondo, surrogata da ciò che lo spettatore già conosce. Il mondo prima di Star Wars è la storia di Han raggomitolata in una scoperta mai in grado di offrire il medesimo fascino di un personaggio troppo bello e troppo amato per essere così svelato.