Audition: l’amore e l’orrore secondo Takashi Miike

L’uscita sul grande schermo, favorita dal nuovo restauro digitale, permette a un film come Audition di affrancarsi finalmente dalle visioni quasi carbonare con cui era finora circolato in Italia – nel dettaglio i passaggi tv e le pur meritorie edizioni DVD della Dolmen Home Video risalenti al 2004/2005. E ci riconsegna, soprattutto, un film di valore assoluto, non ascrivibile soltanto alla logica del titolo “shock” per amanti dei plot twist, ma che nasconde al suo interno i segnali più precisi della peculiare poetica di Takashi Miike. La storia del vedovo Shigeharu che, spalleggiato da un amico regista che organizza per lui una finta audizione cinematografica perché possa “scegliere” tra le candidate la donna ideale con cui colmare il vuoto lasciato dalla moglie scomparsa, si concretizza, come noto, in una discesa nella follia, quando la ragazza apparentemente sottomessa e virginale, si rivela invece una sadica torturatrice. Una formula che oggi può essere annessa alle moderne riletture anti-patriarcali, con cui la donna rivendica un ruolo attivo rispetto a una società che la vuole sottomessa all’uomo, tanto da innalzare la sadica Asami a moderna eroina horror. Ma che più precisamente va inserita nella logica d’inversione che il film, partendo dal gioco di scatole cinesi tra realtà e sua rappresentazione – il cinema attraverso l’audizione è centrale sin dal titolo – opera a partire dalle iconografie.

 

 

La dolce Asami che si esprime con un fil di voce riesce così agevolmente a scivolare nel ruolo della torturatrice in guanti di pelle e siringa d’ordinanza, idealmente affine tanto ai fantasmi del J-Horror con il viso pallido incorniciato da lunghi capelli scuri, quanto alle bad girl mitiche di una Meiko Kaji d’annata (si pensi alla saga di Female Prisoner Scorpion). Ordinaria amministrazione per un autore che nel corso della sua carriera si è divertito proprio a riflettere sul valore delle icone sedimentate nell’immaginario, utilizzandole come grimaldello per scardinare le convenzioni sociali imperanti. Da questo punto di vista, il dolore diventa elemento caratterizzante della poetica miikiana, e principale strumento di comunicazione tra i corpi. I personaggi di Miike, infatti, soffrono e fanno soffrire e il dolore che provocano riscrive la grammatica della comunicazione interpersonale, donando finalmente un senso a una realtà altrimenti immobile. Shigeharu e Asami si conoscono in una situazione dominata dalla stabilità, entrambi seduti, quasi senza muoversi, recitano una parte stabilita a priori da convenzioni che aspettano solo di ossequiare i ruoli prestabiliti nel corso dei secoli.

 


L’accanimento sadico che la donna perpetua sul corpo dell’uomo, va così letto quale momento significativo che nella logica dell’inversione miikiana è in tutto e per tutto un atto di gioia, ben rappresentato dal sorriso quasi ludico con cui la ragazza interpreta quel perverso gioco. In quest’ottica, la logica dello shock va intesa non come momento pensato per atterrire lo spettatore, ma come rivendicazione della necessità di scuotere una realtà altrimenti cristallizzata. Le poetiche di genere e dei generi si mescolano dando forma a un film che sfugge volutamente alle classificazioni: Audition è in tutto e per tutto un horror, come si nota nella scena del sacco che si muove ruggendo, momento assolutamente fantastico in una vicenda altrimenti realistico. Ma, interpretando la logica dell’inversione cara all’autore, Audition è soprattutto una grande storia d’amore, in cui Asami “esercita” il suo affetto segando arti e traendone piacere. Lo stesso che proviamo noi spettatori a ritrovare questo capolavoro in gran spolvero sullo schermo dopo quasi venticinque anni.