Il fantasma di una identità in cerca di luce si agita nel cuore di Lola: la sua carriera da manager di successo le occupa la vita, ma dall’altra parte della sua esistenza c’è una sorella maggiore, Conny, che porta i segni della schizofrenia familiare e la costringe a farsi carico di un’altra parte di sé, fatta di paura e solitudine. Lo schema di The Ground Beneath My Feet (“Der Boden unter den Füßen”, Concorso) dell’austriaca Marie Kreutzer è piuttosto semplice: pone una di fronte all’altra due sorelle apparentemente opposte per riprodurre l’immagine allo specchio di una solitudine esistenziale intrisa di mito del successo e paura dell’esclusione, bisogno di accettazione e timore del rifiuto. Il tema stesso dell’alienazione, di cui Conny si fa portatrice con la sua depressione cronica, diventa la chiave d’accesso al dramma della protagonista, Lola, sospesa tra la corsa carrieristica che la vede in pole position nella ditta per la quale lavora e l’urgenza del prendersi cura di sua sorella, ricoverata dopo l’ennesimo tentato suicidio e ora assillante nelle sue richieste d’aiuto, nella paranoia di essere prigioniera nel manicomio. Marie Kreutzer costruisce uno scenario squadrato sulla contrapposizione tra i luoghi quasi astratti dell’ospedale psichiatrico di Conny e le trasparenze degli open space dove lavora Lola, cui corrispondono simmetricamente le abitazioni delle due sorelle: occupata di oggetti e ricordi quella della prima, svuotata di vita quella della seconda.
Lo schema su cui il dramma si avvita è marcatamente psicologico, ma la scena su cui si proietta con precisione è quella di una società in cui l’individuo non ha vie di mezzo tra l’accettazione indiscriminata e il rifiuto discriminante. L’ossessione paranoica di Conny si proietta sulla scena del lavoro di Lola, salvo poi offrirsi come chiave di volta di una inversione in cui è proprio la sorella “sana” a incarnare il malessere che il suo bisogno di affermazione sul lavoro determina. E allora emergono le ombre di una realtà non tanto nitida per la donna in carriera, lo spettro che le telefonate agoscianti della sorella pazza altro non siano che il riecheggiare paranoide del suo senso di colpa, o meglio del suo senso di accerchiamento concorrenziale sul lavoro. La storia d’amore che la lega a Elise, il suo capo sul lavoro, innesca del resto nella relazione saffica il medesimo rispecchiamento affettivo mancato che Lola offre alla sorella, lasciandola sempre più sola di fronte alla propria paura di perdere tutto. Con intelligenza il film costruisce insomma una dinamica di interpolazione tra la dimensione reale e quella immaginaria della protagonista, in cui è proprio il baricentro affettivo a essere destabilizzato. Il film procede su questa teoria con decisione, senza guizzi particolari, senza cavalcare nessuna delle portanti che lo compongono, men che meno quella psicoparanoica che a un certo punto prospetta.