Un sabato sera di fine 2018 per le strade di Parigi si consuma una delle numerose lotte tra i gilet jaune e la polizia. Arrivano in molti, giovani, vecchi, disillusi o pieni di speranze per partecipare a quella che dovrebbe essere una manifestazione pacifica. Tra questi un trasportatore pieno di energia, pronto a far valere i propri diritti. Il film di Catherine Corsini La fracture, in concorso al 74esimo festival di Cannes, mette subito in scena la sua materia prima più importante: l’opposizione come strumento retorico di analisi e comprensione del reale. Lo scenario si prepara già nelle prime ore del giorno a colpi di dialoghi serrati e sopra le righe, nel bell’appartamento di Raf e Julie, la prima disegnatrice nevrotica, la seconda editrice di fumetti. Le due donne stanno insieme da dieci anni, ma sono sempre sul punto di lasciarsi, con Raf che corre letteralmente dietro all’amata per implorarle di cambiare idea. La prima frattura appare teatrale e comica grazie ad una scrittura spumeggiante e ad una equilibratissima organizzazione dello spazio, che tiene unite le due protagoniste. Almeno fino al capitombolo della prima e alla conseguente frattura del braccio. Da questo momento in poi la macchina da presa di Catherine Corsini si sposta all’interno di un pronto soccorso, già affollato di malcapitati feriti, perché nel frattempo la polizia ha caricato i manifestanti scatenando la violenza. La sala d’attesa si trasforma in un caleidoscopio di casi, umori, rabbie e paure, il microcosmo perfetto da osservare a lungo e da cui far emergere il ritratto esatto e complesso di una società in crisi. Lo sguardo è sapiente nel riuscire ad organizzare i molteplici strati di una narrazione che ha bisogno di tempo per far affiorare ogni dettaglio.
E, allora, si lavora di fioretto, con battibecchi divertenti e sapienti tra i personaggi, scorrendo i volti doloranti di chi aspetta di essere curato e quelli ansiosi e preoccupati di infermieri e dottori. Fino a quando Julie si perde nei corridoi dietro alle richieste dell’estenuante compagna e scopre nel silenzio, la sofferenza e la solitudine quotidiana di quel luogo caotico e disadorno. L’equilibrio, si diceva, come prima virtù di un film capace di lasciare senza fiato e di esacerbare i drammi di una Francia lacerata da conflitti sociali mai affrontati, e di problemi strutturali che si tende ad ignorare. Perché gli ospedali sono allo stremo, crollano letteralmente sulle teste dei malati e il personale si sottopone a turni disumani pur di aiutare i feriti. Il ritmo non manca, ed ha il compito di coordinare movimenti e pause, mentre il film sorvola sui generi, li sfiora, li usa per penetrare nei discorsi e mostrare tutte le facce di uno stesso problema. Corsini riesce a fare della profondità il suo primo obiettivo. La prospettiva del suo sguardo è ampia come i personaggi che descrive, che hanno un passato e un presente al di fuori del pronto soccorso e storie da raccontare che affiorano in frammenti e spiegano e contestualizzano i gesti. Perché c’è sempre una ragione, un’origine proprio dietro l’apparenza. La fracture è un film in continuo cambiamento, un’evoluzione progressiva che amplifica la su portata via via che si prosegue in questa notte di errori e spiegazioni, cambiando la vita di tutti coloro che ne hanno preso parte.