In molti lo definiscono un alieno. Non tanto nel senso spaziale del termine (Alex Honnold è un essere umano, come tutti noi, o quasi) quanto per la matrice letterale di questa parola. L’alieno è colui che arriva da un’altra parte, uno straniero, un forestiero. Honnold è diverso da noi, ha delle capacità innate differenti dalle nostre, un corpo in costante allenamento che gli permette di compiere gesti atletici di rara (se non unica) eccellenza, ma soprattutto ha un’ossessione che lo guida giorno dopo giorno: il richiamo della libertà. Sia chiaro, anche William Wallace predicava gli stessi concetti. Però siamo ben lontani dalle guerre di indipendenza scozzesi e la libertà a cui fa riferimento un essere vivente che arriva dallo spazio non è sicuramente riconducibile a confini geopolitici. Honnold cerca nella libertà la pienezza della vita, il senso ultimo delle cose, dell’esistenza. Solamente quando scala una parete rocciosa senza alcuna protezione preventiva (corde, moschettoni, imbracature) allora si sente in piena sintonia con il mondo, con i propri limiti e il proprio corpo. Questa per Honnold è la massima espressione della libertà.
Ecco perché, tutti i giorni della sua vita, si allena nella pratica del Free Solo, l’arrampicata in solitaria che non prevede l’ausilio di alcun mezzo se non il proprio corpo. Tuttavia, essendo Alex un essere umano (e non un alieno in senso stretto come già ribadito), anche lui cova il tarlo dell’ambizione, della sfida, dell’ossessione. Free Solo (Oscar 2019 come miglior documentario) racconta l’epica scalata (“una delle più grandi imprese atletiche di tutti i tempi”, parola del New York Times) di El Capitain, tra le pareti più affascinanti e impervie d’America. Il film è prodotto da National Geographic per questo motivo è sostanzialmente basato sui preparativi alla sfida, gli ostacoli principali, i fallimenti, le cadute e poi, ovviamente, il tanto atteso successo. Jimmy Chin ed Elizabeth Chai Vasarhelyi si avvalgono di riprese coinvolgenti e rarissime in grado di togliere il fiato per restituire il vuoto e la vertigine della natura e, parallelamente, aumentare la tensione dello spettatore nei confronti di questa missione che più che impossibile sembra decisamente folle. Tuttavia Free Solo possiede anche una seconda anima, un po’ più nascosta, meno commerciale e di conseguenza meno approfondita: quella legata proprio ad Alex e alla sua ossessione. Il titolo del lavoro risulta perfetto non solo perché indica la disciplina sportiva in questione, ma perché connota in maniera puntuale e precisa il carattere del protagonista. Honnold è un uomo solo. Circondato da amici, colleghi e dalla ragazza, l’unico momento in cui davvero è felice e in piena sintonia con se stesso è quando scala la montagna in solitaria. C’è poco da fare, come ci dirà a più riprese, la passione per la natura non verrà mai scalzata da nessuno al mondo. La sua è una sorta di malattia: una solitudine che lo rende libero. Free Solo. I registi però (accontentando, giustamente, le richieste del produttore e del pubblico che solitamente frequenta simili canali) trattano solamente di striscio queste tematiche. Un peccato, perché è proprio da questi momenti che emerge il valore umano più forte ed emozionante del film. Sarebbe stato interessante lasciare in mano a un autore del calibro di Werner Herzog, ad esempio, una simile narrazione. Avremmo visto decisamente un altro lavoro, meno sportivo più viscerale. Eppure chi si accontenta gode (anche se Alex è il primo a sostenere il contrario), quindi gustiamoci queste immagini sensazionali e questa impresa meravigliosa in grado di far sognare e ricordare che il nostro unico limite siamo noi stessi.