Fin dal prologo è chiaro lo scenario che fa da sfondo alle vicende narrate in Hell or High Water, il film diretto da David MacKenzie su sceneggiatura di Taylor Sheridan (già autore di Sicario di Denis Villeneuve), realizzato per Netflix e presentato al Festival di Cannes lo scorso anno, nella sezione “Un certain regard”. La crisi imperversa e le persone si sono indebitate fino al midollo per cercare di tenersi la casa o i terreni. Siamo in Texas e i cartelli pubblicitari non lasciano speranza: «Riduzione dei debiti», «Hai debiti? Riduzione facile presso di noi» o ancora «Prestiti veloci al bisogno» così come le scritte sui muri: «Tre missioni in Iraq ma nessun aiuto per gente come noi».
Nel pianosequenza iniziale che inquadra i luoghi tipici del profondo sud americano (la pompa di benzina, la banca, la chiesa, l’officina del meccanico), viene seguita un’auto da cui scendono due individui con passamontagna che rapinano la filiale di una piccola banca. Sono i due fratelli Howard, Tanner (Ben Foster) e Toby (Chris Pine), che esigono solo banconote sfuse di piccolo taglio, non mazzette che potrebbero essere facilmente rintracciabili, per poi cambiarle in fiches al casinò e riconvertirle in dollari. In questo modo l’FBI non sarà mai interessata ai loro colpi. Lo è, invece, Marcus Hamilton, il ranger del posto (un carismatico ed esilarante Jeff Bridges), a poche settimane dalla pensione, accompagnato dal suo fedele vice, Alberto (Gil Birmingham), di origine Comanche. Hamilton ha perfettamente inquadrato il tipo di rapinatori con cui ha a che fare e riesce a prevederne le mosse. Si tratta di due disperati: Tanner è uscito da poco di prigione dopo aver scontato dieci anni di carcere, mentre Toby, che ha accudito la madre malata fino alla morte, ha due figli e un’ex moglie a cui deve molti alimenti. È lui la mente della coppia, novello Robin Hood, mosso da nobili ragioni.
Un film che si basa sull’opposizione e il rispecchiamento delle due coppie (i rapinatori cattivi e i ranger buoni) e dei singoli nella coppia: in ognuna c’è “il diavolo e l’acqua santa” – parafrasando il titolo che fa riferimento all’espressione «come hell or high water», ovvero «qualunque cosa accada, a ogni costo», che è quello che succederà. Tanner ha tratti psicotici, ama cacciarsi nei guai e non ha gran rispetto per la vita umana, mentre Toby non vuole sia coinvolta la gente comune («Rapiniamo le banche, non i vecchietti», dice al fratello). Allo stesso modo, Hamilton punzecchia in continuazione il suo vice, che lo sopporta pazientemente (i dialoghi politicamente scorretti tra i due allentano la tensione creando momenti davvero esilaranti). Una riuscita attualizzazione del western, senza cavalli, ma con auto sgangherate che vengono “abbattute” dopo i colpi, che contiene una profonda riflessione sulle origini dell’America e sulla crisi: un tempo le terre del Texas appartenevano ai Comanche a cui vennero strappate dai coloni bianchi. Oggi, la guerra per il possesso delle terre ha cambiato forma, ma continua a essere alle spese dei disperati e dei più deboli. È il pesce grosso che mangia il piccolo perché, come dice Cormac McCarthy (autore a cui non si può fare a meno di pensare vedendo Hell or High Water) in Meridiano di sangue: «La guerra perdura nel tempo. […] La guerra c’è sempre stata. Prima che nascesse l’uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente».