Il Cinema Ritrovato – Wise Blood di John Huston, predicare male…

Scegliere cosa vedere e di cosa scrivere al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna è praticamente impossibile, tanti sono gli appuntamenti imperdibili. Vero evento è stata l’opportunità di ammirare su grande schermo il raro Wise Blood di John Huston – anzi, per l’occasione, Jhon Huston come si legge nei titoli di testa – film superindie popolato da predicatori, invasati, mendicanti e canaglie di strada, tratto dal primo romanzo della cattolicissima scrittrice Flannery O’Connor. La pellicola – reintitolata in italiano La saggezza nel sangue – è stata introdotta dal produttore Michael Fitzgerald che, in seguito, nell’incontro della Cineteca, ha ricordato come per Huston fosse fondamentale, per fare cinema, «raccontare la storia, rendendo invisibile la macchina da presa». Il giovane Fitzgerald (27 anni all’epoca in cui nacque il progetto) non aveva alcuna esperienza come produttore, ma grazie a un’amicizia-parentela dei suoi genitori con O’Connor possedeva i diritti del romanzo (fu scritto in casa sua, lui ancora in fasce). Propose il progetto al regista e il resto è storia.  L’avventurosa genesi del film è narrata in maniera vivida ed efficace dallo stesso Huston nel volume JH: Interviews (curato da Robert Emmet Long, ed. Univ. Press of Mississippi). Il regista ritagliò inoltre per sé il personaggio del vecchio predicatore che alleva e segna per sempre la psiche (forse l’anima) del personaggio principale Hazel Mates (straordinario Brad Dourif), a cui da bimbo faceva portare scarponi con all’interno sassi appuntiti. Hazel, reduce di una guerra imprecisata, tornato alla vecchia casa in cui è (mal)cresciuto negli Stati Uniti del Sud, vede intorno a sé solo persone che si credono redente pur non essendolo. Comincia allora a vagabondare predicando una nuova assurda religione: «La Sacra Chiesa di Cristo senza Cristo». Un impasto di fervente nichilismo, libertinaggio e presa di coscienza di una società fondata sulla simulazione e l’impostura. Frequenta una prostituta, è ossessionato da un predicatore cieco, che aggredisce costantemente a parole. Un altro squilibrato che lavora allo zoo e la figlia del cieco sono le uniche persone che paiono attratte da lui. A differenza dei falsi predicatori di cui sembra popolata ogni strada d’America, Hazel non cerca denaro e, a modo suo, pare essere tornato per “portare la spada”.

 

Huston restituisce il delirio e le ossessioni degli americani narrati da O’Connor nel romanzo: la paranoia religiosa come convinzione di avere Dio al proprio fianco, l’ossessione per l’automobile (Hazel trova un altro se stesso solo quando l’auto viene affondata in un lago), l’idolatria (la scimmia imbalsamata venerata come reliquia, l’adorazione di falsi miti del cinema come Konga). Con pochi mezzi, un manipolo d’attori, e spiazzanti giochi cromatici (titoli in bianco e nero, sogni e ricordi fuori fuoco) Huston infiamma di Cinema una storia disturbante e spesso grottesca (con guizzi comici), per arrivare alla tragica fine di ogni certezza. Il nome storpiato dell’autore nei titoli “graffiati” e in bianco e nero è dovuto al fatto che, per introdurre al tono quasi infantile e febbricitante della storia, i credits d’apertura furono fatti scrivere a un bambino che, non intenzionalmente, scrisse male il nome John. Il regista ha poi lasciato per sempre la storpiatura Jhon.

Amen.