Vincitore del Premio Un Certain Regard al Festival di Cannes 2018, Border – Creature di confine è il secondo lungometraggio del regista Ali Abbasi, che dopo una prima incursione nell’horror (Shelley, 2016), si cimenta con le atmosfere della fiaba portando in scena la storia di Tina, impiegata doganale dalle straordinarie capacità olfattive, magicamente in grado di fiutare le emozioni umane e per questo infallibile nel suo lavoro. Tina trascorre le giornate tra la dogana e la casa nei boschi, dove vive insieme all’addestratore di cani Roland, fa visita con regolarità al padre e intrattiene buoni rapporti con i vicini. Una vita routinaria che viene sconvolta dall’incontro con Vore, capace di trarre in inganno i suoi sensi e le sue intuizioni. Fattore esteticamente cruciale, l’aspetto fisico di Tina non rientra nei canoni di bellezza comunemente condivisi, le è stato detto per colpa di una malformazione genetica, ma la verità è un’altra e ci viene disvelata attraverso una serie di variazioni cognitive progressive: crediamo che sia Roland a rifiutare sessualmente Tina per il suo aspetto, ma il regista ci rivela che di fatto è il contrario; crediamo per buona parte del film che Tina sia appunto affetta da una sorta di malformazione genetica di lynchana memoria, ma il regista ci insegnerà che ciò che per alcuni, molti, è un difetto, per altri in realtà è perfezione; crediamo che Tina sia donna e Vore uomo, ma ancora una volta il regista ci mette di fronte a verità in apparenza sconvolgenti ma che dovrebbero essere, anzi, sono perfettamente in linea con la natura.
Abbasi ci invita delicatamente ma efficacemente ad abbandonare le nostre convinzioni, i nostri pre-concetti, le nostre rigide categorizzazioni in maniera perturbate ma morbida allo stesso tempo, come una camminata a piedi nudi sul muschio. Collabora alla sceneggiatura lo scrittore John Ajvide Lindqvist, già autore del racconto da cui il film è tratto. Non è la prima esperienza cinematografica di Lindqvist, che nel 2008 aveva sceneggiato il film tratto dal romanzo omonimo Lasciami entrare, i cui punti di tangenza con Border risultano evidenti nell’accettazione di una vita altra, che mette in discussione canoni etici e ordinarietà dell’esistenza. Qui la narrazione segue in maniera fedele quella del racconto, ma con significative differenze a livello di rappresentazione: Abbasi apre sulla natura, sulla delicatezza con cui Tina si relaziona col mondo animale e vegetale; si sofferma sul suo rapporto con grilli, muschi, alberi, volpi e alci. La natura viene rappresentata come un sistema totale e circolare (l’insetto che Tina salva all’inizio diventa cibo per il figlio alla fine), a tratti visivamente vicino all’estetica minimale degli artisti del Mono Ha (“La scuola delle cose”): corrente artistica sviluppatasi in Giappone tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, caratterizzata dall’utilizzo di materiali naturali e dalla riflessione sul rapporto tra arte, uomo e spazio, vede nella rivelazione della realtà oltre l’apparenza il fulcro del suo interesse. Il cimitero dei troll di Border ricorda l’opera The Gap of the Earth Tremor (1976) di Kishio Suga, artista da sempre interessato ai confini e alle demarcazioni. Le atmosfere di Border sono quelle della fiaba, si è detto, ma non vi è aderenza allo schema rassicurante di Propp, al contrario, è la dimensione liminale di ciò che ha confini non definiti quella in cui viene catapultato lo spettatore. Abbasi riscrive il canone fiabesco per parlare della contemporaneità, forse per offrire le uniche soluzioni possibili alla crisi identitaria globale: non può esservi risposta più spiazzante per la società attuale che ricondurre il senso di tutto proprio al concetto di confine, sul quale si muovono in equilibrio tra bene e male due “razze” entrambe cariche di lati oscuri. Abbasi ci suggerisce che è solo adottando una soluzione di confine che si superano le dicotomie, accogliendole.