L’ispirazione nasce dal libro di Claire Lajeunie dal titolo Sur la route des Invisibles, scritto dopo le ricerche effettuate dall’autrice per un documentario andato in onda su France 5. Su questo patrimonio di informazioni e di racconti il regista Louis-Julien Petit elabora Le invisibili, un progetto semplice ma sufficientemente stratificato da non semplificare la questione che sta al centro di tutto: la vita delle donne senza fissa dimora, che gravitano attorno ad un centro di accoglienza diurno, con tutti i problemi e gli ostacoli che nella realtà le strutture di questo tipo sempre devono affrontare. La differenza la fa l’idea di mettere insieme attrici di provata esperienza (Audrey Lamy, Corinne Masiero) con attrici non professioniste, scelte tra le molte che hanno davvero provato la vita per strada. E così la realtà flagrante che si racconta, si interseca a quella sorda che traspare dagli occhi di queste donne, che hanno visto e provato, che sanno attraverso quali sentimenti si deve passare per sopravvivere e quali pezzi di vita restano, invece, spenti o sulla strada. C’è chi ha perso semplicemente il lavoro, precipitando in fretta nella povertà profonda, chi è appena uscita di prigione, ma ha imparato ad aggiustare gli elettrodomestici, c’è chi viene da lontano e non sa quale sia il suo posto nella società.
Petit scardina il consueto meccanismo, trasformando un film di denuncia in una commedia dolceamara, capovolgendo con astuzia e bravura l’ordine consueto delle cose. Stratagemma perfetto per evitare la retorica e il buonismo, delle assistenti sociali e dello sguardo stesso del film, capace di concedere spazio e tempo alla vita e ai sogni, agli ideali e alla risoluzione concreta dei problemi. La realtà vista con occhi fiduciosi e complici di donne che si specchiano nelle donne più sfortunate. L’empatia che viene comunicata allo spettatore nasce da questo, e dalla leggerezza di ogni inquadratura, dall’autoironia che spegne ogni dramma, ma lo carica di significato. Il problema, poi, non è neppure la quotidianità, ma la burocrazia miope e incapace di prevedere le conseguenze pratiche (e distruttive) di ogni nuova norma. Regole che spezzano la difficile ricostruzione di vite sospese, che aspettano nuovi percorsi, a partire dai nomi che hanno scelto di darsi, eclatanti e giocosi al tempo stesso: Lady Di, Brigitte Macron, Edith Piaf, Vanessa Paradis. Così, quando il comune decide di chiudere il centro diurno, assistenti sociali e volontarie rispondono violando le regole e accogliendo le loro ospiti anche di notte. Gesto di sfida e di ribellione che dà nuovo ritmo ad un film che rinasce più volte nel continuo cercare l’equilibrio impossibile tra speranza e disperazione. Fino al finale, in cui gesti, volti, avvenimenti parole, sembrano avere altri sensi perché carichi di altre prospettive.