Venezia80 – Anamnesi di un amore: Hors-saison di Stéphane Brizé

Mathieu è un famoso attore, cinquant’anni che iniziano a farsi sentire, in fuga dalla routine parigina dopo una sofferta rinuncia – un atto di paura e, nelle parole di molti, di vigliaccheria – a un debutto teatrale che stava preparando e di cui forse non si è sentito all’altezza. Si è nascosto in un albergo termale a Quiberon, costa atlantica della Bretagna, sospeso tra sedute di talassoterapia e telefonate senza costrutto alla moglie, distante nello spazio e nell’umore, conduttrice televisiva di successo. Un giorno, all’improvviso, riceve un biglietto inaspettato: la sua compagna di quindici anni prima – Alice, un’insegnante di pianoforte italiana – vive lì accanto. Il paese è piccolo e la presenza del divo non è passata inosservata: gli propone un incontro, una piccola rimpatriata sentimentale che, nel corso dei pochi giorni di vacanza coatta, si trasforma in qualcosa di più. L’occasione di un ricordo, il dolore di un rimpianto, il senso impotente verso qualcosa che c’era e che non potrà tornare. Stéphane Brizé, che ha costruito la sua carriera e la sua (splendida) reputazione sull’analisi sfaccettata del mondo del lavoro e del capitalismo avanzato in salsa francese (la trilogia composta da La legge del mercato, In guerra e Un altro mondo, tutti presentati tra Cannes e Venezia) e sulla raffinatezza dell’adattamento cinematografico di Una vita, tratto da Guy de Maupassant, costruisce con Hors-saison un piccolo gioiello sentimentale, che fa i conti con il fallimento e l’incapacità a guardarsi indietro (e dentro) di personaggi speculari e apparentemente contrapposti.

 

 

Mathieu è un uomo di successo forse disabituato a dover affrontare un fallimento personale più che professionale; Alice è una donna con una vita forse normale ma certo compiuta, che però nel fantasma di un passato irrealizzato vede i semi del suo discontento. Mathieu e Alice, a distanza di anni dal loro amore spento con rabbia, ritrovano gesti ed emozioni, riconquistano un linguaggio comune, cadono ancora nel baratro della loro irresolutezza. Brizé segue i suoi interpreti (uno stropicciato e seducente Guillaume Canet e una languida e appassionata Alba Rohrwacher, entrambi mirabilmente in parte) con commovente discrezione, appoggiando le loro giravolte su una partitura musicale in minore, che si ripete continuamente, quasi a ripercorrere i cerchi concentrici dell’esistenza. Brizé li inquadra con pudore e li contrappone, con la loro fragilità emotiva, alla forza di un oceano perennemente in tempesta, che rispecchia il potere dei sentimenti a lungo messi a tacere. Se l’arrivo di Mathieu in questo non-luogo lussuoso e asettico sembra una reiterazione – comunque brillante e sospesa – dei temi di sradicamento messi in scena da Sofia Coppola in Lost in Translation (la macchinetta del caffè ipertecnologica, i selfie in sala massaggi), l’irruzione in scena tutta in levare di Rohrwacher rivitalizza il film, gli dona una direzione non inaspettata ma vivissima. Con toni da partiture à la Lelouch, Brizé costruisce l’anamnesi di un amore mai giunto davvero a conclusione fino a un finale raggelante nella sua smaccata emotività. Hors-saison è un oggetto prezioso, fragile, sospeso in un equilibrio delicato e tenero, che riflette senza esporre, che lascia ampio spazio al sentimento comune per ciò che poteva essere e non è stato; per un amore che deve scomparire per poter essere, fino in fondo, ricordato.