L’eterna adolescenza in Leurs enfants après eux, di Ludovic e Zoran Boukherma a Venezia81

Ludovic et Zoran Boukherma

Lo spunto è il romanzo di Nicolas Mathieux, vincitore del Prix Goncourt e da noi uscito per Marsilio come E i figli dopo di loro: un racconto che si articola lungo sei anni, dal 1992 al 1998, intrecciando le estati di tre giovani protagonisti. Innanzitutto Anthony, quattordicenne alle prese con i primi turbamenti della pubertà. Poi Stephane, di buona famiglia, bella e sfuggente e destinata a ricoprire il ruolo dell’amore eternamente inseguito. Infine Hacine, figlio ribelle di un operaio magrebino che si muove tra piccoli atti di teppismo e il rancore per una società che disprezza gli immigrati, costretto perciò in una rivalità che sconterà sulla pelle, fra denti rotti e mani ustionate. Il contesto è invece quello di Heillange, nella Mosella, schiacciata dalla crisi che ha portato alla chiusura dell’acciaieria, che ha colpito i padri in un destino familiar-circolare sintetizzato dal titolo del film, Leurs enfants après eux, appunto, presentato in Concorso a Venezia81. A farsi carico del racconto sono i gemelli Ludovic e Zoran Boukherma, che nel 1992 sono nati e che attraversando le stagioni del cinema di genere (i precedenti Teddy e L’année du requin sono rispettivamente un horror e un’avventura thriller con punte ironiche) ora giungono al racconto di formazione, inseguendo i tre personaggi in una ricostruzione d’epoca raccontata con densità visiva e toni di una certa enfasi, forte di una colonna sonora percussiva e filologica (Nirvana, Metallica, Red Hot Chili Peppers) che cerca di sintetizzare la spinta istintiva di un’età dove tutto appare assoluto e amplificato.

 

 

Così, se Mathieux aveva dichiarato di essere partito dall’intenzione di raccontare l’adolescenza come un racconto noir, il film asseconda lo spunto, tra piccoli spacci, diatribe che portano sul limite dell’omicidio (con tanto di pistola fornita da un pusher locale), assalti mortali nelle toilette e furti di moto che vengono poi restituite mentre bruciano sull’asfalto. La grammatica visiva spinge per un mondo a tinte chiaroscurali, dove le ombre sopravanzano i punti luce, nonostante il racconto si ambienti prevalentemente nei mesi estivi e che i protagonisti affrontano con una certa fisicità, resa più aliena dai loro corpi diafani – in particolare per l’ottimo Paul Kircher, già visto in The Animal Kingdom. Sebbene la narrazione scandisca il passare del tempo con i suoi continui salti biennali, e i protagonisti vivano la loro crescita nel cambiamento dei corpi, ora “gonfiati” dalla palestra, ora rasati in testa per arruolarsi, le dinamiche tra loro restano sostanzialmente immutate e si riflettono in una serie di scontri generazionali destinati quasi sempre a ricomporsi: ogni litigio con padri e madri sembra dimenticato nel passaggio successivo, che favorisce la dinamica elusiva mentre i tre continuano a rincorrersi e a scontrarsi.

 

 

Anche quando sembra che ormai gli anni abbiano sepolti i rancori, c’è sempre una moto da rubare per restituire il favore, mentre la passione amorosa tra Anthony e Steph resta viva ma non si consuma mai fino in fondo, in un eterno cercarsi e lasciarsi. La parabola di vita di questi ragazzi al giro di boa tra la giovinezza e l’età adulta (sostanzialmente dai 14 ai 20 anni) diventa così una sorta di eterna prigionia in un’adolescenza che non si riesce ad abbandonare e che diventa quasi una prospettiva critica su questo filone storico-nostalgico di cui è pregno il cinema contemporaneo. Ogni passaggio appare così forte e vivido, ma al contempo immutabile e astratto, come l’intero film che affastella scene enfatiche mentre sembra non arrivare mai a una conclusione, come uno stream of consciousness perenne, che potrebbe procedere all’infinito. Una scelta che costituisce al tempo stesso il limite e il grande motivo di fascino dell’operazione.