Sono vari i temi che si intrecciano in questo esordio del regista indonesiano. Autobiography – Il ragazzo e il generale, dopo avere debuttato nella Sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2022, esce in sala grazie a Cineclub Internazionale. Protagonista del racconto è Rakib, poco più che adolescente, che vive da solo perché il padre è in carcere e il fratello lavora a Singapore, della madre non vi è traccia. Rakib è l’uomo di fiducia di Purna, alto ufficiale dell’esercito, che si è candidato a sindaco nel paese in cui vive. In realtà da sempre la famiglia di Rakib lavora per quella di Purna, in una tradizione di asservimento e devozione, che per affermare la sua candidatura mette in opera metodi sbrigativi adoperandosi con la corruzione e la violenza. Si macchierà di un orrendo delitto e per Rakib sarà il punto di non ritorno e di rivalsa sul proprio passato. Sono esplicite le dichiarazioni del regista sul film inquadrandolo in quell’area di autobiografia personale, ma al tempo stesso anche in uno spettro più ampio, più generalmente collettivo come autobiografia di una intera Nazione, nella doppia accezione che il titolo offre con evidenza assoluta.
Le domande che Mubarak si pone sono quelle che portano dritte ad una riflessione sul rapporto etico tra valori condivisi e sentiti in un vasto corpo sociale e il loro peso morale quando questi principi sono messi alla prova di resistenza in un ambito che sta al di fuori della legalità. Dice Mubarak a proposito del suo film: «…la lealtà è quello che rende una persona degna di rispetto: un principio che ritenevo molto vero e, a quel tempo, soddisfacente. In realtà, più crescevo, più ero assillato da un dubbio: la lealtà è degna di rispetto, anche se e quando è promessa a qualcosa di mostruoso? Se in questo caso smettessimo di essere leali, ciò sarebbe considerato tradimento, o lotta per la giustizia? E ci renderebbe persone buone o cattive? Autobiography è un’indagine sentimentale sulla mia adolescenza, sul mio Paese e sui valori con cui sono cresciuto…». Serpeggia in queste dichiarazioni il senso di “trasgressione alle regole” che ad esempio guida il pentimento degli appartenenti alle organizzazioni criminali. Inevitabilmente l’assimilazione di regole contrarie – di una lealtà a tutti i costi che copra a qualsiasi livello e quindi anche il sangue di vittime innocenti e l’immorale corruzione – può diventare deformazione etica nel rapporto con le giovani generazioni ed in fondo Autobiography è di questo che parla. È in questa ottica che smette per un attimo – ma anche lungo – di costituire un thriller, così come si presenta, per diventare racconto morale e classico racconto di formazione. Rakib è protagonista di una acquisizione di disvalori e sarà la propria esperienza a farlo tornare con discernimento progressivo sui suoi passi per intraprendere una vendetta che non è solo rivalsa circostanziata all’interno dello sviluppo narrativo, ma assume il valore più grande e più profondo di una rivalsa generazionale e familiare, una decisiva e non più trattabile messa in discussione di insegnamenti antichi e connaturati ad una indiscutibile sottomissione.
Rakib alza la testa, rivuole indietro la sua dignità e riconquista la propria identità perduta per seguire un uomo corrotto e violento, cinico e incapace di vivere alcun sentimento se non quelli di una autoaffermazione a tutti i costi, anche a quello del sangue. È conformemente all’idea di fondo, che è tutta vissuta in quel rovesciamento di intenzioni che segue alla presa di coscienza dopo il delitto, che il film del regista indonesiano si assesta su un percorso di ponderata riflessione, di progressiva acquisizione di certezze differenti, di assimilazione di una lezione che deriva da una diversa e intimamente ribellistica volontà di affermazione di valori e idee differenti. In questa direzione il film vive di cupe atmosfere, di lente progressioni di senso che sembrano spostare l’asse del racconto sempre di più verso il nuovo sguardo di Rakib sulle cose e sul suo viziato rapporto quasi filiale con il corrotto generale di cui è il guardaspalle e factotum. La silenziosa ribellione di Rakib a questo stato di cose conforma il film nelle sue fattezze, determinando il percorso di acquisizione di valori etici dimenticati, in quel dipanato groviglio di sottile e finalizzata violenza che pervade le sue immagini e che trova il suo apice in quella nudità esibita del giovane protagonista quando, tra le mani del generale padre-aguzzino, viene ripulito sotto una doccia che sembra preludere alla vendetta per l’intuito tradimento. Estendendo lo sguardo la rivalsa di Rakib diventa disubbidienza preordinata di un intero Paese a regole arcaiche, in quel rispetto delle regole senza troppe domande, dentro il cui ambito ristagnano ancora i principi di una dittatura che ha segnato la storia recente dell’Indonesia e del suo popolo.