Lo schema da legal drama serve la causa della ricerca della verità che si cela dietro la storia di Steve Harmon, diciassettenne nero di buona famiglia che si ritrova in prigione, accusato di complicità in una rapina costata la vita a un negoziante. L’approccio di Monster, opera prima di Anthony Mandler (su Netflix), è estremamente dinamico sia sul piano narrativo che su quello visivo, in linea con le abitudini di questo vip director di videoclip e commercials: l’empatia per il destino di un brillante studente, che la vita di quartiere porta fatalmente a contatto con il lato oscuro delle dinamiche sociali, passa tutta per la portante visuale della messa in scena, veicolata dalla passione cinematografica del ragazzo, che segue le lezioni di cinema di un prof e gira per il quartiere col suo smartphone, in cerca di immagini e realtà. A offrirgliele sarà l’amicizia forzata di uno dei tanti bulli di zona, che aspira a diventare il protagonista dei suoi video e pretende di indicargli la strada della verità portandolo con sé a conoscere la vita del quartiere. Il passo successivo è il dramma nel quale Steve si trova calato suo malgrado, sotto gli occhi increduli e impotenti dei genitori: la polizia bussa alla porta e gli mette le manette, accusandolo di complicità nella rapina con omicidio in cui secondo le testimonianze ha fatto da palo.
Monster parte da qui, dal precipizio legale in cui il ragazzo si trova: interrogatori, foto segnaletiche, sbarre della prigione, un’avvocatessa che lo difende e un pubblico ministero che lo addita come un mostro ai giudici della giuria popolare. Ma lui è solo un bravo ragazzo appassionato di cinema in cerca della verità per le sue immagini o il classico nero di belle speranze trascinato verso il basso dalle cattive frequentazioni imposte dal quartiere? Il film ha l’accortezza di scommettere sul suo protagonista senza definire sino alla fine la verità sulla sua partecipazione alla rapina, evitando di condannarlo ma anche di assolverlo, ma puntando tutto sulla sua innocenza umana, sul coinvolgimento emotivo che la sua disposizione limpida nei confronti della vita suscita. Mandler lavora molto sulla scomposizione dei piani narrativi, sull’articolazione dinamica dei livelli visivi, sulla sensibilizzazione dello spettatore nei confronti della soggettività del protagonista, che diventa eroe fragile nella sua innocenza ineluttabile. Il confronto con la verità passa tutto attraverso l’impassibile figura dell’avvocatessa bianca, che lo difende fermamente mentre altrettanto fermamente mostra di non dar peso alla sua colpevolezza. Il punto su cui la storia verte è infatti la fatalità di un destino che fa di questo ragazzo la vittima dell’innocenza che porta nel suo cuore e lo mette nella condizione di subire l’attacco di quella realtà che cerca attraverso le sue immagini. Prodotto sul set da John Legend e basato fedelmente sull’omonimo e premiato romanzo di Walter Dean Myers, riconosciuto come uno dei massimi autori neri di letteratura americana per l’infanzia, e presentato al Sundance nel 2018 prima di essere acquisito da Netflix, Monster è un film che ha il merito di elaborare con semplicità il chiaroscuro morale su cui si basa, tenendo fede a un certo afflato didattico e formativo della vicenda raccontata e lavorando sull’approccio classico della parabola con una sensibilità moderna.