Prima produzione del neonato Studio Ponoc, composto in larga parte da ex animatori del Ghibli, Mary e il fiore della strega ha finito suo malgrado per diventare oggetto di un dibattito volto a stabilire se Hiromasa Yonebayashi dovesse essere incoronato o meno erede ufficiale di Hayao Miyazaki. Confronto ingeneroso per chiunque, sia chiaro, data la statura del termine di paragone, ma va anche aggiunto che il problema della successione all’autore di Nausicaa e Ponyo tiene banco da almeno un paio di decenni – considerati soprattutto i continui annunci di ritiro dello stesso Miyazaki, poi puntualmente smentiti. Yobenayashi, dal canto suo, non ha nascosto come Mary e il fiore della strega si ponga idealmente in continuità con la tradizione del Ghibli: “Ho trascorso circa vent’anni allo Studio Ghibli, lavorando con Isao Takahata e Hayao Miyazaki. Le competenze e la mentalità che ho acquisito lì sono i miei tesori. Ora, con quei tesori racchiusi nel cuore, ho dato il massimo per realizzare questo nuovo film insieme al mio team”. La morbidezza del disegno, delle tinte e delle figure rievoca in effetti un sapore prettamente miyazakiano, così come fa anche l’immaginario visivo chiamato in causa, e bisogna scavare nelle pieghe del racconto per ritrovare il tocco e le tematiche già analizzate dal regista nei precedenti Arrietty e Quando c’era Marnie. Come in quelle opere, infatti, Yonebayashi esplora le scelte di una protagonista femminile in bilico tra due mondi, quello umano e quello fantastico, con la magia che costituisce non soltanto uno spartiacque per delimitare le due realtà, ma gioca anzi un ruolo molto attivo e “interventista”, in grado di sovvertire l’ordine delle cose.
In questo senso, il film può considerarsi l’ideale ultimo capitolo di una trilogia che ha esplorato le declinazioni e le possibilità espressive del magico in varie sfumature: poetico e fanciullesco in Arrietty, gotico in Marnie e qui compiutamente fantasy, con uno sguardo rivolto al genere tipicamente nipponico delle maghette (già affrontato proprio da Miyazaki, fra l’altro, con Kiki consegne a domicilio). Il rapporto con la magia diventa quindi punto di osservazione privilegiato rispetto alla storia e al modo in cui le protagoniste di turno si relazionano al mondo e al loro vissuto, riscrive i ruoli, attribuisce meriti e permette il simbolico passaggio alla maturità. È materia duttile, vicina alle saghe più recenti di Harry Potter, manipolata e resa oggetto di studi, al confine tra scienza e fantasia vera e propria, duale come la protagonista scissa fra due mondi e spaesata tanto nella casa della prozia dove trascorre le vacanze, quanto nelle stanze della scuola per streghe. Non a caso la posta in gioco è il potere mutante per eccellenza, quello della metamorfosi nascosto nel magico fiore che i dirigenti della scuola vogliono padroneggiare a tutti i costi. Che è la più chiara delle metafore sul senso dell’identità sempre nascosto in queste parabole animate giapponesi e sul necessario percorso da compiere affinché Mary ritrovi se stessa e il suo scopo. In effetti, l’aspetto più interessante è come l’adesione entusiastica ai dettami del fantasy e all’estetica del sense of wonder che traspare nella creazione della scuola, si accompagni a un sottotesto più cupo, un sentire inquieto che nel divertimento non abbandona mai il senso di inadeguatezza che accomuna Mary alle protagoniste dei film precedenti. In questo senso Yonebayashi resta al momento il più solido esponente della generazione “di mezzo” dell’animazione giapponese, già maturo per riuscire a relazionarsi con l’universo dei “padri”, ma ancora giovane per trasmettere tutto il nervosismo di dover fare da sé senza l’ombrello protettivo delle strutture consolidate, in uno scenario storico/politico/economico di enorme incertezza. È chiaro pure il suo continuo invito al “coraggio”, segnalato nelle sue dichiarazioni, ma anche la prudenza di un film che comunque corteggia ancora territori noti. Sarà interessante capire come l’autore proseguirà il suo percorso, e rivedere fra qualche anno magari anche questo Mary e il fiore della strega, in modo da stabilire quello che oggi è più difficile: se sia da considerare un punto d’arrivo o una ripartenza.