Nella notte più lunga dell’anno August Strinberg immagina di risolvere in modo estremo la vita di tre persone, dopo averle sottoposte ad un estenuante stravolgimento e dopo aver estorto loro ragionamenti e gesti crudeli e ingenui, macchinazioni e esasperazioni degni del più terribile dei racconti. Si comincia dal fatto che nel castello Coole di Fermanagh, nel nord dell’Irlanda, la notte di mezza estate nel 1880 non conosce l’oscurità e i protagonisti, quelli visibili e quelli solo accennati, sono impegnati in festeggiamenti fatti di balli sfrenati e sospensione delle regole, perché il giorno non finisce mai e gli uomini sono spinti a lasciar andare ogni inibizione. In Miss Julie, quinto film da regista di Liv Ullman, alla luce si associano il tempo e lo spazio, a creare la prima e più importante contraddizione, perché laddove ci si aspetta il trionfo dell’esterno sull’interno, del movimento sulla fissità, regna, invece la claustrofobia e una malata immobilità che da mentale si fa fisica e intacca i personaggi come fosse una gabbia sempre più stretta. Non importa quali siano i desideri di Miss Julie, figlia infelice del barone appena partito, le aspettative della cuoca Kathleen e le ambizioni del servitore John, perché il loro destino è quello di un falso movimento, nonostante nella loro vita, in quelle poche ore estive, si verifichi una vera e propria rivoluzione. E ad incendiare animi e gesti è proprio Miss Julie, che a lungo andare si rivela il più fragile dei tre personaggi, nonostante la sua tenacia, la superbia di classe, esibita fino al punto da mostrarsi nella sua dolorosa finzione.
Liv Ullman riesce nell’impresa di trasformare in immagine il rovesciamento di ogni umore, percezione e senso. Con geniale pacatezza segue gli slanci improvvisi e li asseconda freddamente quando esplodono in impeti di crudeltà. Nessuno è risparmiato e nessuno risparmia. Miss Julie seduce John un po’ per attrazione, un po’ per sfida, John si lascia sedurre, ma fugge più volte e si avvicina, dichiara il suo amore e calcola la sua convenienza, fino a creare una trappola perfetta. Katheeln, infine, osserva, giudica, abbandona. Nessuno è sincero in questa storia di violenza psicologica e fisica. Nella notte in cui le regole sociali sono sovvertite, anche i pensieri hanno una mutevolezza sinuosa e i sentimenti si rincorrono con velocità. Amore e odio, erotismo e rabbia. Ma non è sempre possibile attribuire i giusti sentimenti. Un gioco di poteri che si scambiano di posto e si confondono, su cui pesa un passato appena accennato. Un gioco continuo di specchi, nel rivelare e ingannare, di veli, per fingere e manipolare. Una gara a chi riesce a manovrare l’altro fino alle estreme conseguenze. Perché quello che ciascuno intende fare è sconfiggere la propria solitudine con quella dell’altro. Tutto nello spazio-tempo di una notte e di poche stanze, mentre il mondo all’esterno non sa nulla.
La verità è che nel pensiero di Strindberg, accolto da Liv Ullman con con tanta acuta precisione, non è possibile stabilire alcun legame tra esseri umani, se non quelli del conflitto, anche violento e in ogni caso sempre distruttivo. Così, in questo dramma da camera, dove ci sono solo tre personaggi e si sentono le voci e gli strepiti di uomini spinti ben al di fuori del campo visivo, non è ammesso alcun tipo di ribellione e lo schema sociale è semplicemente dominato dal caos e dal desiderio di vendetta. Una battaglia feroce per il potere, condotta visivamente sempre tra alto e basso, destinata a concludersi tragicamente, come annunciato fin dalle primissime immagini. Intenso e dolente, Miss Julie ha la forza di uno sguardo contemporaneo, sfiora il teatro, ma ne scompone le proporzioni e ne dilata la percezione nel senso pieno del cinema, che trasforma i monologhi in visioni, paesaggi, profumi, luci.