MONSTERS Fantastic 7 – La maternità malefica in A mother’s embrace, di Cristian Ponce

Al fondo del film brasiliano A mother’s embrace, previsto nell’ancora giovane ma già consolidato appuntamento di Monsters, il festival tarantino dedicato al cinema horror e del mistero, ci sono i traumi infantili, i cordoni ombelicali dell’infanzia e di una idealizzazione dei rapporti familiari che mutano con il mutare dell’età. Cristian Ponce, già sperimentatore dell’horror in Storia de lo oculto del 2020, nel quale la critica politica si sovrapponeva, in un gioco frequente in questo genere, all’invisibilità del male, qui, invece, utilizza la sovrapponibilità di una certa retorica materna, che diventa la chiave di volta per entrare nel mondo delle proprie antiche paure. Ana da bambina ha dovuto soffrire il trauma di un incendio in casa sua. Molti anni dopo divenuta vigile del fuoco, durante un’alluvione è incaricata con i suoi colleghi di evacuare una casa di riposo che appare insicura. L’ispezione mostrerà le fragilità della struttura, ma anche la malefica aria che si respira tra i suoi occupanti e le insidie alle quali saranno esposti Ana e i suoi colleghi. Ma Ana ha anche un altro compito, quello di salvare Lia, una bambina che vuole fuggire da quei terrori e nella quale Ana si rivede ancora incapace di distinguere il bene dal male. A mother’s embrace si regge su una struttura tutto sommato semplice, in una linearità narrativa che però non impedisce al film di restituire le paure con le sue atmosfere misurate, le ambientazioni classiche del genere e l’ambiguità dei personaggi in un crescendo di accentuazioni. Tutti temi di un carattere filmico di genere, ma qui, come spesso accade, rivisitate in funzione di un ridotto budget con il quale Ponce, con i suoi pochi effetti speciali e molta invenzione visiva, sa fare della classica necessità piacevole virtù scenografica.

 

 

Le ambientazioni notturne nella Rio de Janeiro in cui una dirompente pioggia allaga la città, costituiscono un punto di forza del film e al tempo stesso l’acqua diventa ulteriore simbologia in quel difficile rapporto madre-figlia che resta scandito come sfondo della storia. È in questa prospettiva che va ricercato e valorizzato il sottofondo concettuale sul quale la storia si fonda. Uno scenario che riannoda i fili con un tema frequente nel cinema horror e perfino con quella diffusa attenzione che il cinema contemporaneo presta al grande tema della maternità. Il film di Ponce è un horror ed è in questa forte caratterizzazione di genere che va inquadrato il lavoro di analisi psicologica – in chiave fantastica, come altri se ne sono visti – sui legami familiari, su quella esigenza di distacco dagli amori familiari, da una certa retorica materna che non sempre coincide con quella felicità infantile ricercata. Punteggiata come è da inquietanti presenze malefiche in quella struttura fatiscente che è la casa di riposo, la storia di Ana è quella di una affrancazione da un passato oscuro, da una malintesa forma di amore, da una madre il cui abbraccio non è benevolo. Il cinema horror o comunque riconducibile al genere, ha messo a segno più di un colpo nell’analisi della psicologia infantile relazionata con la vita adulta e con il sotterraneo rapporto con la madre. Ana diventa un nuovo personaggio tra questi e liberarsi dal peso di onnipresente maternità sarà probabilmente il viatico per il suo identico ruolo nei confronti della piccola Lia, liberatasi, a sua volta, da una ingombrante paternità in un equilibrio narrativo e coniugale, che ricompone nel suo deflagrare quell’unità familiare a volte così precaria e lesiva della psicologia infantile.