TFF39 – Lezioni di storia e di civiltà in The first 54 years – An abbreviated manual for military occupation di Avi Mograbi

L’occupazione e la dominazione di un popolo diventano, nella struttura che Avi Mograbi ha impresso al suo film, un leggibile manuale teorico-pratico che guida l’occupante, attraverso il rispetto di precise e spietate regole, a sempre meglio amministrare e dosare il proprio potere nei confronti del dominato, per perpetuarne la sottomissione per appagare a qualsiasi costo un antico desiderio di terra. Le immagini, ma soprattutto la scansione in agili e puntuali capitoli, fanno di The first 54 years, nel Fuori concorso della sezione TFF/doc, come lo stesso sottotitolo suggerisce, un’applicabile guida, che partendo dalla teoria dell’esercizio del potere indaga sulla sua quotidiana disciplina, in una precisa e anche odiosa realizzazione di un disegno che raggiunge lo scopo con gli inevitabili e scontati “effetti collaterali”, quotidianità di una indefinita barbarie che torna cinicamente utile per rendere senza fine il rapporto dominante-dominato. In una giornata nella quale il 39mo TFF scandisce con i suoi film i tempi di una sempre più necessaria memoria di quello che è accaduto e di quello che continua ad accadere in quella striscia di Medioriente che comprende lo Stato di Israele e l’incompiuto Stato Palestinese, – con tutte le appendici che quella polveriera in continua ebollizione porta a considerare, come accade con il Libano, ad esempio, che diventa un’altra Terra in cui si sono consumati atroci delitti sull’uomo e di cui il memorabile Khiam 200-2007, di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, ha saputo restituire emozioni, parole e tragedia – il film di Avi Mograbi, con la sua apparente freddezza di una masterclass sul potere, sa costituire l’altra faccia di questa tragedia ininterrotta, per dare continuità ad una lunga riflessione che possa trasformarsi in costante memoria e pensiero.

 

 

Attraverso immagini anche occultate e fino adesso invisibili e soprattutto attraverso le voci di ufficiali e soldati dell’esercito israeliano che appartengono ad una associazione che si chiama “Breaking the silence, il regista, anch’egli israeliano, con il suo film traduce il manuale della dominazione, pubblicato dall’associazione. I capitoli sono di volta in volta introdotti dalle sue riflessioni, dalla sua “fredda” lezione che si spinge a ridefinire il senso delle parole, offrendo la dimostrazione immediata, grazie a quelle immagini e alle parole di quegli uomini, di come sia avvenuta, si sia tramandata come una tragica tradizione, e di come si tramanderà ancora, l’occupazione israeliana nei territori della Palestina dalla Striscia di Gaza a quelli della Cisgiordania. Le tecniche di sottomissione, i soprusi quotidiani che in molteplici forme affliggono la dignità di uomini e donne, anziani e bambini, un diverso livello di considerazione dei diritti umani in generale, ma anche di quelli più semplici in un regime di convivenza forzata, un incessante esercizio dell’arroganza politica che su differenti e non equi piani considera diversamente i diritti dei coloni, che sempre più numerosi invadono i territori della Palestina, e quelli degli originari residenti, che vedono assottigliarsi i loro diritti e il loro spazio vitale, una progressiva restrizione dei confini che si completa con l’innalzamento di muri che chiudono la vista, ma soprattutto ostacolano la naturale mobilità dell’uomo, diventano le azioni e i comportamenti dettati da questo manuale.

 

 

Queste pratiche, che come ci spiega Mograbi e i militari che per obbedienza le hanno dovute mettere in pratica, non sono per nulla casuali, ma piuttosto disciplinabili e disciplinate da una precisa volontà e da regole scritte o non scritte, che costituiscono il vademecum eterno del perfetto occupante, del perfetto dominante. Per suggellare questa sua incontrollata liberazione di potenza devastante nei confronti di un intero popolo, non si disdegna di utilizzare la tortura, come metodo anch’esso quotidiano di controllo e sottomissione dell’altrui volontà. La lezione del regista israeliano è puntuale nella sua spietata teorizzazione didattica, incisiva nella dimostrazione dei teoremi che guidano il complessivo disegno, ma, soprattutto, storicamente apprezzabile proprio perché rende pubbliche, con tanto di nomi e di volti, tranne in casi estremi in cui la riservatezza deve salvaguardare le fonti, dichiarazioni alle quali pare difficile la formulazione di repliche. Queste testimonianze, infatti, provengono dai graduati dell’esercito israeliano che completano con la loro visione, che giunge dall’altra parte dell’enorme barricata che contrappone i due popoli, e che, pertanto, posseggono il carattere e il sigillo di una verità ineccepibile che grava come un macigno sui responsabili di questa tragedia, che infiamma da 54 anni quei luoghi lasciando senza speranza e in un colpevole dimenticatoio gli uomini, le donne e i bambini che vivono quelle condizioni. The first 54 years – An abbreviated manual for military occupation di Avi Mograbi sa diventare lezione di storia e di civiltà, sa diventare vademecum contro ogni violenza della dominazione e per chi, infine, voglia generare o mantenere uno sguardo libero sulla interminabile vicenda che vede un popolo intero ingiustamente sottomesso da un altro. Mograbi con le sue immagini e le sue parole risveglia le generali indifferenze e segna un limite che da oggi diventa più difficile valicare.