Londra, zona di Westminster (Lauderdale Road si legge su una targa toponomastica). Una donna cammina per strada, sale le scale di un palazzo ed entra in casa annunciandosi al padre. L’uomo non la sente, sta ascoltando in cuffia l’aria What Power Art Thou? dal King Arthur di Henry Purcell. Anthony (Anthony Hopkins), il padre, pare abbia minacciato fisicamente e chiamato “stronzetta” Angela, la badante che, a suo dire, lo ha derubato. Anne (Olivia Colmar), la figlia, deve parlargli «seriamente». È questione del suo imminente trasferimento a Parigi per amore, cosa che suscita in prima battuta lo stupore su di lei («Tu???»), ma anche sulla scelta («Non parlano nemmeno inglese»). O forse no…Nulla è come sembra, recita il didascalico sottotitolo italiano, per certi versi fuorviante. In realtà in The Father, opera prima del pluripremiato drammaturgo francese Florian Zeller, veniamo immersi nella mente di un uomo affetto da demenza senile che progressivamente perde tutti i punti di riferimento – e noi con lui – con frammenti di memoria che di tanto in tanto prendono il sopravvento, persone che si sostituiscono ad altre, frasi che vengono ripetute così come momenti di vita vissuta che creano sensazioni di déjà vu e déjà vécu per aggiungere tasselli alla risoluzione di una situazione che sfugge a ogni controllo…
Un mélo costruito come un thriller che si svolge tutto in interni, con lunghi corridoi e stanze che altro non sono se non un riflesso di una psiche malata: uomini e donne compaiono all’improvviso a reclamare un ruolo, gli oggetti spariscono o sono fuori posto, le tragedie del passato riaffiorano aprendo l’anta di un ripostiglio. Un mondo di abissi e di vette, fatto di recriminazioni e rimproveri, dove i figli diventano genitori dei padri, ma dove anche un ingegnere può convincersi e far credere di essere stato un ballerino di tip tap. Tutto è possibile e se non fossimo nel pieno di un dramma sembrerebbe di essere in un film di Christopher Nolan dove le coordinate spazio-temporali si confondono e si annullano e dove un orologio da polso è l’unico appiglio a una realtà in continua mutazione. «Mi sento come se stessi perdendo tutte le mie foglie» confida Anthony prima di sciogliersi in un pianto disperato come può essere il pianto di un bambino, in un viaggio che sembra riportarlo al punto di partenza. Ed è la stessa sensazione che prova lo spettatore. Florian Zeller (classe 1979), drammaturgo che scrive pensando già agli attori che interpreteranno i suoi testi, porta sullo schermo la sua pièce del 2012, Le père (interpretata a teatro da Robert Hirsch e che già aveva ispirato Florida di Philippe Le Guay, con Jean Rochefort) e pur di lavorare con Anthony Hopkins sposta l’ambientazione a Londra e utilizza la lingua inglese (la sceneggiatura è stata tradotta e adattata dal drammaturgo Christophe Hampton che ha tradotto tutte le opere di Zeller in inglese). Le père fa parte di un trittico composto anche da La mère (2010) e da Le fils (2018), dolorosa trilogia sulla malattia, l’abbandono e il mal di vivere.
Un debutto cinematografico quello di The Father che è stato premiato con gli Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e per l’interpretazione di Anthony Hopkins (l’attore si mette a nudo aderendo totalmente al personaggio che non a caso porta il suo stesso nome, mentre a teatro si chiamava André). Per un autore che in una bellissima intervista comparsa su L’Express nel 2014 nella sua personale genealogia citava come padri Harold Pinter («come cogliere l’importanza del non detto, utilizzare parole semplici per enunciare cose crudeli, scrivere “sì” facendo capire che il personaggio pensa “no”. Tutto questo dà al pubblico, che lo coglie, uno statuto di attante»), David Lynch («per il suo lavoro sullo smarrimento rispetto al reale») e «anche Jon Fosse, con la sua scrittura ossessiva» una partenza che lascia il segno. E che fa ben sperare per il futuro: Zeller è già al lavoro per portare sul grande schermo Le fils con Laura Dern e Hugh Jackman, con ambientazione newyorkese.