C’è un mondo nuovo che ha il sapore di vecchio. Dove sono gli umani? Cosa è rimasto della loro idea di vita? Riescono ancora ad ascoltarsi e a guardarsi negli occhi? È un mondo nuovo ma vecchio in cui la convivenza civile non conosce la spontaneità ma soltanto regole stringenti e noiose, sempre più odiose e cavillose, leggi che deviano davanti alla diversità, che generano mostri ed elevano muri che chiudono e separano. Dov’è finita l’arte? La bellezza dove si è nascosta? Cosa è rimasto della poesia? E del cinema? C’è ancora chi danza? Qualcuno si ama? È un mondo nuovo ma vecchio dove la frammentazione sociale e territoriale nutre il dissenso dell’individuo, la sua protesta, la sua ribellione: vivere o morire, si tratta ancora, sempre e soltanto di questo. È un mondo devastato, stanco e fermo, trasfigurato in reperto, inghiottito da una voragine apocalittica e immerso in una giungla ancestrale, splendida e terribile. Da questa percezione fantapolitica, dal desiderio di investigarla per interpellare lo sguardo dello spettatore con le immagini, sprigiona l’idea di Yaya e Lennie – The Walking Liberty, il nuovo lungometraggio di Alessandro Rak, presentato all’ultimo Festival di Locarno.
In un futuro non molto lontano, a causa di una serie di catastrofi ecologiche, Napoli si è trasformata in una foresta tropicale impenetrabile. La natura si è ripresa prepotentemente il pianeta e ora la giungla riveste tutta la terra. Dalle macerie del mondo che fu, una nuova società sta cercando di risorgere. Si tratta de “L’Istituzione”, i cui adepti cercano di ripristinare l’ordine precostituito imponendo al popolo libero della giungla il loro concetto di diritto. Ma c’è chi si oppone con forza a questo presunto processo di civilizzazione: i dissidenti stanno preparando la loro rivoluzione. Questa è la storia di due spiriti liberi che vogliono trovare il loro posto nel mondo. Yaya, con il suo berretto alla Corto Maltese, ragazza dal carattere ruvido e dallo spirito indomito, e Lennie, un giovane uomo alto più di due metri e affetto da un ritardo mentale. Uniti da un legame profondo si prendono cura l’uno dell’altro cercando di non farsi portar via l’unica ricchezza che gli è veramente rimasta: la loro libertà. Nel suo terzo lungometraggio, Alessandro Rak sceglie di raccontare una storia di fantascienza ecologista per dare forma a un nuovo inno alla libertà, una “piccola ballata” capace di coniugare le suggestioni classiche del primo Miyazaki (occhi aperti, c’è un poster di Conan il ragazzo del futuro) alla cultura pop di Ritorno al futuro e Blade Runner senza rinunciare all’evocazione di Mad Max: Fury Road e all’esplicito debito letterario di Uomini e topi, romanzo nato in un contesto storico di grande incertezza e spaesamento politico e sociale, come fu appunto la Grande Depressione americana.
La vicenda di Yaya e Lennie è incastonata in un tempo sospeso e inquietante dove non mancano impiccati e ricercati, spettri e robot, pirati e rivoluzionari, e in cui si attraversa un’idea non convenzionale di libertà, «premessa di ogni sana scelta di vincolo amoroso oltre che l’unica via che non porti all’ovvio ed all’inesorabile» come ha tenuto a precisare proprio Rak. Diversamente da Gatta Cenerentola, caratterizzato dalla stasi della Megaride, la nave ancorata al porto di Napoli per anni, questo nuovo film è decisamente più proiettato ad esaltare il gusto del viaggio, che poi altro non è che un viaggio iniziatico, e per questo pericoloso, e le bellezze di un paesaggio selvaggio, quasi a invocare uno sguardo pronto ad accogliere il nuovo e ad interrogarsi su quali siano le regole fondamentali su cui si regola l’esistenza umana. Una natura incontaminata ma anche una tecnologia disumanizzante, due vettori che sprigionano forte e chiaro un punto essenziale: Yaya e Lennie è «soprattutto un inno all’amore fraterno e disinteressato, spensierato, ignorante». Un amore libero, che libera, come sottolinea il monologo chapliniano tratto da Il grande dittatore, memoria visiva e bussola che orienta che abbraccia l’eternità. D’altra parte questo è un film libero, svincolato da logiche di mercato targettizzate, forte nel trasmettere quelle urgenze che si dirigono ostinatamente nella direzione contraria.