Presentata all’ interno della XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, GAME VIDEO/ART. A SURVEY è la più completa rassegna di videoinstallazioni ludiche mai organizzata in Italia. Allestita nell’Open Space Contemporary Exhibition Hall della IULM di Milano fino al 31 luglio 2016, la mostra è curata da Matteo Bittanti e da Vincenzo Trione e propone una selezione di opere realizzate da trenta artisti internazionali nell’ultima decade. GAME VIDEO/ART. A SURVEY si concentra sulla natura squisitamente visiva del gioco digitale e della sua declinazione in chiave artistica. Altrimenti note come machinima, queste opere si collocano all’intersezione tra videogame e cinema, teatro e animazione. Create con l’ausilio di titoli popolari come The Sims, SimCity, Grand Theft Auto e Call of Duty, queste installazioni non hanno semplicemente generato una nuova estetica bensì un nuovo modo di giocare con l’immagine. Esempio paradigmatico di appropriazione e remix, il machinima sollecita una riflessione sui ruoli dell’autore e dello spettatore nell’era digitale. Agli schermi dei machinima si accompagnano i quadri di Miltos Manetas, che ritraggono soggetti, spazi e situazioni dell’immaginario tecnologico. Le sue opere sono accompagnate da Miracle (1996), la videoinstallazione presentata alla mostra Joint Ventures curata da Nicolas Bourriaud presso la Basilico Gallery di New York che ha segnato l’inizio del machinima d’artista. È inoltre proposto, in anteprima per l’Italia, The Night Journey, l’ultimo progetto di Bill Viola sviluppato insieme al Game Innovation Lab della University of Southern California (Los Angeles). Matteo Bittanti ci guida alla scoperta della mostra. (Nell’immagine sopra Empire di Philip Solomon).
Dopo i primi anni davvero interessanti il machinima ha dato l’impressione di avere il fiato un po’ corto. Ora come va? Con la vostra mostra si comprende quale sarà l’evoluzione?
Una risposta alla tua domanda richiede una premessa. A costo di iper-semplificare uno scenario assai complesso, si potrebbe affermare che esistono due scuole di pensiero. La prima riconduce il machinima al fandom videoludico e dunque attribuisce ai Quake movies di Ill Clan le origini di questa forma espressiva. All’interno di questo paradigma, Diary of a Camper (1996) rappresenta il capostipite; le espressioni-machinima più compiute sono serie come Red vs. Blue di Rooster Teeth, i generi dominanti sono la commedia (declinata sotto forma di parodia), la fantascienza e l’horror; l’immaginario di riferimento è il cinema hollywoodiano, ma la cornice è sostanzialmente videoludica. Quest’interpretazione – che ha trovato in Henry Lowood (Stanford University) il massimo esponente – informa il paradigma dominante nel contesto dei Game Studies di stampo anglosassone. Una seconda scuola di pensiero attribuisce invece a Miltos Manetas le origini del machinima e ne riconduce la genesi a Miracle (1996), presentato da Nicolas Bourriaud alla Basilico Gallery di New York nella mostra Joint Ventures. Questa tesi, che ho sviluppato in varie occasioni, appartiene alla Game Art, una disciplina che studia la relazione tra l’arte contemporanea e il videogioco. Nel contesto dei Game Studies, il machinima è considerato un’opera derivata del videogioco che aspira a diventare cinema (“delle attrazioni”, modello Star Wars) o televisione (il modello seriale, episodico). Nel contesto della Game Art, il machinima è invece un’opera espressiva compiuta riconducibile alla videoarte – è opportuno sottolineare che in questo ambito, non si usa il termine “machinima”, bensì “video digitale”. You say ‘Tomato’, I say ‘Tomato’. Ora, se il machinima “boccheggiante” che citi appartiene alla prima categoria, il tuo giudizio è condivisibile. O meglio, il machinima non ha tanto perso il fiato quanto cambiato pelle. Oggi il machinima è, sostanzialmente, un genere streaming che spopola su Twitch.tv, dove si è fuso ad altri formati, per es. il walkthrough in diretta, lo speedrun agonistico, il flusso di updates/texting/chat dei social media, etc.
Se tuttavia parliamo di machinima in relazione alla Game Art allora, non mi trovi d’accordo: il machinima è un’autentica boccata d’aria fresca. Che uno dei massimi esponenti della videoarte – Bill Viola – abbia sviluppato un videogame è significativo. Il fatto che registi sperimentali Philip Solomon e Harun Farocki si siano cimentati con il machinima è significativo. Il fatto che una rockstar come Jon Rafman, abbia prodotto machinima (Code of Honor, A Man Digging, Remember Carthage, etc.) è significativo. Il fatto che Ian Cheng crei simulazioni videoludiche è significativo. Il fatto che Federico Solmi, Jonathan Monaghan, Tabor Robak, Marjan Moghaddam e Benjamin Nuel ricorrano alla computer grafica dei videogame per raccontare l’hic et nunc è significativo. Ma quello che colpisce maggiormente del machinima è la sua natura “globale”: fa da trait d’union tra le pratiche di autori cubani e americani, australiani ed europei, messicani e venezuelani, solo per citare alcune delle nazionalità coinvolte in GAME VIDEO/ART A SURVEY. Si tratta, infine, di un’arte del presente, non del passato prossimo. Non a caso, sono proposte opere realizzate tra il 2006 e il 2016. L’obiettivo è tracciare un bilancio, offrire una panoramica e, nel contempo, aprire dei tab sugli scenari a venire.
Fra Tour, Screening, Performance e Presentation ognuno si può costruire una sorta di palinsesto. Che consigli possiamo dare?
GAME VIDEO/ART A SURVEY può essere visitata in modalità sandbox, à la Grand Theft Auto. Detto altrimenti, è possibile seguire le “missioni” predefinite dai curatori (Vincenzo Trione e il sottoscritto, con la complicità criminale di un agguerrito e preparato team di studenti del Corso di Laurea Magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati dell’Università IULM) e completare i quattro livelli predefiniti (Record, Glitch, Assemblage e Frame), oppure scegliere una fruizione alternativa, che prevede sessioni brevi, ma ripetute, dilazionate nel tempo, magari random. Non a caso, la mostra accorpa il modello della proiezione cinematografica – con programmi di durata variabile – in un contesto white cube, giustapponendo screening in loop a video installazioni. Sono previste inoltre integrazioni sotto forma di extras, update ed espansioni (DLC) quali presentazioni e performance di artisti, critici e curatori nonché un ciclo di proiezioni, tra cui lo screening di opere seminali come In Memoriam ed EMPIRE di Philip Solomon, il 4 e 11 maggio, introdotti da Luisella Farinotti e Anna Luigia De Simone rispettivamente; la monumentale serie di Harun Farocki, Parallel I-IV e un programma a tema intitolato New Directions, una selezione di machinima inclassificabili. Consiglio inoltre di prenotare una visita guidata curata dagli studenti: i TOUR forniscono un utile inquadramento critico. Più che un TOUR si tratta di un TUTORIAL, ma tutt’altro che pedante o didattico. Il percorso della mostra prevede inoltre una sezione di video-interviste ad alcuni artisti. Tutt’altro che marginale, questo “livello” fornisce indizi importanti per decodificare la relazione tra cultura visuale, arte contemporanea e videogioco. Last but not least, il progetto grafico di Giulia Scalera dello Studio Iodice/Scalera restituisce – anche a livello cartografico – la natura complessa del game video.
Da dove deriva la scelta di Miltos Manetas?
Miltos Manetas è stato tra i primi artisti-radar a comprendere che il videogioco non ha introdotto semplicemente una estetica alternativa, bensì nuovi ambienti e relazioni sociali. In questo senso, è decisamente mcluhaniano: la definizione di medium del teorico canadese, infatti, enfatizza la capacità dei media di creare contesti, modalità di interazione e forme di pensiero inediti. Manetas ha trasposto queste suggestioni epistemologiche e fenomenologiche per mezzo della pittura e del machinima, a sottolineare le contiguità – ma anche le divergenze – tra schermo e quadro, tela e finestra, cornice e inquadratura. La compianta Anne Friedberg ha esaminato queste differenti interfacce sul piano cognitivo, estetico e culturale nel fondamentale The Virtual Window (2006). Le opere di Manetas sviluppano le riflessioni di Friedberg attraverso una pluralità di media. Manetas inventa un nuovo genere artistico – il machinima – e poi ritrae i panorami generati dal codice sorgente, il videogioco, i computer, i gadget tecnologici. Anche sul piano concettuale, il suo modus operandi è molto sofisticato. Kittler sostiene che “i media definiscono le nostre situazioni”. Manetas ha immortalato queste situazioni meglio di ogni altro.
Quale sarà la sorpresa, la scoperta della mostra?