É sempre geniale Werner Herzog a trovare i titoli dei suoi film perché in poche parole riesce a suggerire il tono del film, il punto di vista, insinuando persino una certa ironia dello sguardo. Quello che resta misterioso è quasi sempre il soggetto, ma anche questo è uno stratagemma da maestro, capace di svelare poco a poco i dettagli, con sorprese e evoluzioni tanto precise da lasciare senza parole. È il caso di Lo and Behold: Reveries of the Connected World (da noi Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi), recentemente presentato al 12esimo Biografilm di Bologna e ancor prima al Sundance. Come la sua “Dichiarazione del Minnesota”, si tratta di una analisi tanto seria da trasformarsi in calembour, fantascienza, o fantasticherie, appunto, dello sguardo che va direttamente al centro del discorso, come sempre in Herzog, per scoprire un universo tanto vero quanto eccentrico. In quale tipo di mondo vogliamo vivere? Si chiede il regista di Fata Morgana, rappresentando realtà umane che vanno disumanizzandosi, consuetudini che hanno perso la concretezza di un rapporto reale di scambio. Non un’invettiva contro la rete, la tecnologia e la ricerca, ma una riflessione profonda di quello che si rischia di perdere a non volerci pensare. L’umanesimo di Herzog affiora ad ogni immagine, come a volerne fare un grido d’allarme di ciò che gli occhi non sono più in grado di vedere e il pensiero non è più in grado di pensare. Come se l’ossessione della connettività ci avesse tolto piuttosto che darci. E allora prevale l’ironia, o meglio, una certa distanza, il lucido sospetto che eminenti ricercatori testimoniano con le loro stesse parole, o meglio, con tutto quello che sta loro intorno, le connessioni che si creano tra i vari interventi, i cortocircuiti delle parole, che per Herzog non sono mai scelte a caso. Si tratta di vere e proprie evoluzioni (e capovolte) dell’idea del mondo iper-tecnologico di oggi e di domani, dove gli scienziati cercano l’intelligenza artificiale capace di superare l’intelligenza umana, ma nel frattempo esperimentano dei robot che giochino a calcio meglio dei campioni in carne ed ossa. Non mancano le contraddizioni, puntualmente sviscerate o semplicemente enunciate, e si sente il bisogno di una fase di arresto in questa corsa a perdifiato verso l’overdose tecnologica del nostro tempo e del futuro che seguirà. Al punto che esistono persone intossicate da internet che ora vivono nella foresta dei monti Appalachi, dove non esistono onde prodotte dalle connessioni wi-fi e si è formata una vera e propria comunità isolata da ogni connessione, a ritrovare uno stile di vita antico, lento, fatto di rapporti concreti e di fisicità assoluta.
Il punto di partenza del film è la nascita di Internet, ufficialmente dichiarata il 29 ottobre 1969, quando fu inviato un breve messaggio dall’Università di Los Angeles allo Stanford Research Institute. Qualcosa, però, andò storto, la connessione si interruppe e il messaggio “Log in” divenne “Lo”, da cui il titolo del film. Questo primo contatto è come il primo avvistamento della terra da parte di Cristoforo Colombo, spiega Herzog, che non trascura, quindi, di insinuare il suo dubbio sulle controindicazioni di certe scoperte. Perché anche questo “nuovo mondo” può essere visto come l’inizio dell’ennesima sconfitta dell’uomo, che ad ogni passo in avanti perde qualcosa di sé, lasciando cadere tutte quelle connessioni col mondo, la natura, le cose e gli universi del fare e del sapere. Il tono di Herzog non è solo ironico. C’è l’epos delle narrazioni estreme, come fosse impresa ai limiti del possibile, come i suoi film di fantascienza in cui è descritto un pianeta con gli occhi intrisi di nostalgia. The Wild Blue Yonder più Apocalisse nel deserto. Solo che qui non c’è la finzione, l’invenzione selvaggia che esalta la realtà. Tutto è dimostrato e dimostrabile. Tutto è controllato e controllabile, senza più alcuno spazio per l’estasi. Ecco il finale amaro. Perché Internet “Non è una nuvola. È fatto di server e router che possono essere facilmente controllati e anche distrutti. Ad ogni modo, datemi un bazooka e lo farò io”.