Sosteneva Giuseppe De Santis che il Neorealismo è stato il cinema della Resistenza. Nell’impulso (necessario o istintivo) di uscire dalla finzione in cui era stato confinato negli anni del fascismo, ecco che il cinema italiano trova la strada della resistenza e si riversa nelle strade, nelle campagne, tra la gente che vive la sua normale quotidianità. Proprio qui si rintracciano gli elementi da sottolineare, da trasformare in eventi. Lo dice lo stesso Zavattini quando sostiene che “Il compito dell’artista, a quel punto, non era quello di indignarsi e commuoversi per dei traslati, ma quello di portarlo a riflettere sulle cose reali” per far diventare significative al massimo le cose come sono, la vita nel suo essere di tutti i giorni. Lo spettatore si sente protagonista, si riconosce nelle immagini del cinema, ritrova davanti a sé storie che ha vissuto, o cui ha assistito. L’Italia, rasa al suolo, preparava la sua ricostruzione e trasformava la crisi in un’opportunità. Si trattava di produrre “effetti di civiltà” quali sono di fatto Roma città aperta, Ladri di biciclette, Paisà, Achtung! Banditi!, Sciuscià. Si tratta di fare del cinema un’arte utile, come voleva Roberto Rossellini, parte attiva di una società diversa, fondata su basi più solide di quelle che avevano sostenuto fino ad allora la settima arte. “Il Neorealismo ha rappresentato il primo atto di coscienza critica dal punto di vista politico e ideologico che l’Italia ha avuto di se stessa”, dirà Pasolini più tardi. L’Italia, che aveva avuto una storia frantumata, ha iniziato la sua vera Storia solo con la Resistenza e il Neorealismo ne è la prima rappresentazione consapevole, “con il piacere di scoprirsi e, anche, di denunciare ipropri difetti”. Il Neorealismo era il cinema dei fatti, della vita reale delle persone nei loro quartieri popolari,nelle loro case affollate e povere. Ne rappresentava l’irruzione sullo schermo, la possibilità per gli spettatori di identificarsi con personaggi umanamente veri, che comunicano anche incertezza, talvolta inquietudine e paura, spesso rabbia e coscienza di vivere una vita diversa da quella che stavano vivendo. Si pensi agli sciuscià di De Sica, ai suoi barboni, ai bambini sparsi per le strade distrutte di Germania anno zero, a quelli coraggiosi e spavaldi di Paisà. Tutto questo è stato possibile grazie allo spirito della Resistenza, nel quale gli italiani si sono riconosciuti durante la guerra e in cui si sono rivisti sul grande schermo, anzi, si rivedevano proprio nel momento in cui, tutti i giorni, compivano anche loro quei gesti che sono diventati famigliari a partire dai film. Cinema del presente, nel presente della sua verità, che, come era immaginabile, non poteva non contagiare i modi della rappresentazione di altre cinematografie contemporanee. Inghilterra, Francia, Spagna ritrovano anch’essi nel cinema i segni della loro rinascita. Il senso è quello della libertà.