L’arte sghemba di Flavia Mastrella e Antonio Rezza ci segue dall’inizio degli anni ’90, come un refrain isolato che, tra cinema, televisione e teatro, insiste sulla visione di un mondo surreale, guardato di traverso, a partire da prospettive inquiete e inique rispetto al corrotto sentire comune. Era il ’91 quando Antonio Rezza ci folgorava con la poesia pedestre di Suppietij, un cortometraggio che intingeva nell’estetica analogica del VHS un frammento di una sua performance teatrale, che cantava la pietà per i piedi. Una geniale visione umanistica concentrata sulle estremità degli esistenti, che già anticipava tutto il suo successivo percorso (anche) cinematografico, approdato ora a Samp (a Venezia 77, nelle Giornate degli Autori), il nuovo lungometraggio di quella che nel frattempo è diventata la coppia artistica Mastrella & Rezza, con Flavia, da sempre accanto ad Antonio con le sue creazioni scenografiche vissute e vestite da Antonio in scena e sui suoi set, che ormai si fa carico della composizione figurativa e visiva dei loro lavori, di quelle immagini distorte nelle prospettive visive così coerenti con la distorsione morale di cui sono espressione i personaggi e le situazioni surreali che decantano. Samp è girato nel cuore della Puglia, in un arco di tempo che gli autori dichiarano praticamente ventennale, tra le basse case bianche del Salento e del Barese, nei vicoli percorsi da figure di anziani deambulanti e di giovani stanziali, tra i quali si muove l’eponimo protagonista come una macchia di nero e fucsia vestita. Samp, ovviamente interpretato da Rezza, è un killer spietato al servizio di un Presidente che gli chiede di eliminare una serie di figure, innocue agli occhi del comune sentire, ma ben colpevoli dinnanzi alla sua legge, che mira all’estirpazione dell’umanità dal corpo sociale che governa. Pagato in verdi dollaroni (“sono più vecchi, puzzano di mani” dice il killer…), Samp attraversa i vicoli sterminando senza pietà gruppi di comari che cuciono e spettegolano davanti a casa, antiquari, bambini che giocano, precari, persino il suo migliore amico: “Si tratta di un lavoro di pulizia etnica, di uccidere gente che pensa e agisce in modo naturale”, dichiara il Presidente. E Samp, che ha già ucciso sua madre e l’ha seppellita nel tronco di un ulivo, non esita ad eseguire, anche se è ossessionato dall’amore impossibile per l’invisibile donna del fratello del Presidente, che non riesce mai a vedere e che proprio per questo desidera ardentemente.
Intanto per gli stesso vicoli si aggira la sua nemesi, un candido caduto nel Salento dalla lontana Scozia che, col suo kilt e l’aria incantata del turista, elegge quella terra a suo paradiso e agisce in ragione di una bontà assoluta, dettata dalla felicità incondizionata che ha trovato. Praticamente un santo luminoso, almeno sino a quando non si palesa un malcapitato zampognaro che fa riecheggiare musica scozzese tra le bianche case pugliesi. Samp non sposta di una virgola il cinema magnificamente resistente di Mastrella & Rezza, ci fa ritrovare la sua poetica assurdamente deviante applicata a una morale che divarica il sentire comune per disperdere le ipocrisie e le false correttezze. Visivamente il film si articola sempre secondo le torsioni prospettiche che servono a dare una funzione grafica all’assurdità di azioni, gesti e reazioni dei personaggi e degli oggetti in scena. Ancora oggi, come da sempre, il cinema della coppia nasce dal dialogo improprio che riesce a instaurare con quella realtà che scuote con spietata simpatia. E resta intatto quel confronto implicito nel loro lavoro tra la naïveté del contesto umano al quale si riferiscono, spesso connivente con le ragioni stesse della sua corruzione, e la malignità del contesto sociale, spesso conseguente alle ragioni di un sentire comune arcaico. Il tutto si esalta, ovviamente, nella performance astratta e fisica allo stesso tempo offerta dal corpo di Antonio Rezza che oggi come trent’anni fa resta una delle presenze più autenticamente anarchiche che ci animano.