C’era una volta un giovane di belle speranze che per conquistare la sua innamorata decise di fondare uno Stato in mezzo al mare attirando su di sé l’attenzione del mondo intero. Dopo varie vicissitudini, la bella capitolò e vissero per sempre felici e contenti. Ha i connotati di una favoletta più o meno edificante L’incredibile storia dell’isola delle rose di Sydney Sibilla, tratto da una storia vera: quella di Giorgio Rosa (interpretato da Elio Germano) che nel 1968 costruisce una piattaforma di fronte a Rimini, appena fuori delle acque territoriali italiane, stampa francobolli, passaporti, si dota di una bandiera e di una lingua ufficiale (l’esperanto), per poi chiedere al Consiglio d’Europa l’ufficiale riconoscimento come Stato indipendente. Il film di Sibilia parte proprio da Strasburgo dove, nel novembre 1968, Giorgio si presenta per chiedere udienza e dopo vari giorni di attesa ottiene l’attenzione di un funzionario (François Cluzet). Poi inizia un lungo flashback che ci riporta a Bologna un anno prima: Giorgio ha superato l’esame di Stato diventando ingegnere e vuole riconquistare Gabriella (Matilda De Angelis), la ragazza con cui è stato per tre anni e che nel frattempo è diventata professore associato di diritto internazionale. È proprio lei, nel film, per ben tre volte, il motore della vicenda: durante una lezione a cui Giorgio assiste dice che bisogna «anteporre ciò che è giusto alle regole, alle leggi». Detto fatto, tre mesi dopo a Imola, durante una corsa di moto, Giorgio ha la folgorazione: con l’aiuto dell’amico Maurizio (Leonardo Lidi) costruirà un’isola d’acciaio «a sei miglia dalla costa», un luogo che sarà solo loro e dove saranno loro a fare le regole e le leggi. Una volta costruita la piattaforma ecco arrivare il primo abitante, il naufrago Pietro Bernardini (Alberto Astorri), seguito subito dopo dall’apolide Neumann (Tom Wlaschiha) e da Franca (Violetta Zironi), giovane barista incinta.
Il nuovo Stato è di fatto una discoteca che non dà fastidio a nessuno, ma ancora una volta Gabriella arriva sull’isola e dà nuovo impulso all’azione: trattando Giorgio come un irresponsabile che si è costruito il suo giochino, gli annuncia che sta per sposarsi. Allora Giorgio, punto sul vivo, scrive alle Nazioni Unite per ottenere il riconoscimento internazionale, suscitando in questo modo l’attenzione del governo italiano ( e dei media): il ministro della difesa Franco Restivo (Fabrizio Bentivoglio) è chiamato dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone (Luca Zingaretti) a risolvere la questione. Iniziano ad arrivare numerose richieste di cittadinanza per l’Insulo de la Rozoj, non solo dall’Italia, ma dal mondo intero tanto che anche lo Stato del Vaticano, che teme una deriva libertina, fa sentire la sua voce. Ancora una volta è l’intervento di Gabriella a sbloccare la situazione: è lei a dire a Giorgio che delle dispute tra Stati si occupa il Consiglio di Stato a Strasburgo. Il cerchio si chiude. Si torna al presente con l’happy ending amoroso e l’abbattimento dell’isola documentato dalle immagini di repertorio e dalle didascalie che annunciano che: «Ad oggi, la distruzione dell’Isola delle rose è l’unica guerra d’invasione commessa dalla Repubblica italiana» e che «Per evitare che accadesse di nuovo l’Onu spostò il confine delle acque nazionali da 6 a 12 miglia. In tutto il mondo». E ancora: «Il Consiglio d’Europa dichiarò di non potersi esprimere in merito alla contesa tra lo Stato italiano e la Libera Repubblica delle Rose perché l’isola risultava al di fuori delle acque territoriali europee. Riconoscendola implicitamente come Stato indipendente».
«L’importante è cambiare il mondo, o almeno provarci»: sono queste le parole (di Gabriella) su cui si chiude il film che lasciano un po’ l’amaro in bocca, anche se forse esprimono lo spirito del tempo in cui viviamo. Si fatica a capire di quale vero cambiamento si parli se non la ricerca di una soluzione comoda, in cui non esistono leggi a cui sottostare o regole da rispettare in nome di una non meglio identificata libertà. Lo stesso maggio francese, vero momento di rivolta contro le istituzioni e di cambiamento profondo, è presente nel film attraverso immagini di repertorio ma i protagonisti non hanno nessuna consapevolezza di quello che sta succedendo Oltralpe («Non sapevamo nulla», dice Giorgio) Sibilia – autore anche della sceneggiatura, con Francesca Manieri e produttore con Matteo Rovere e la loro Grøenlandia, in partnership con Netflix – sembra da sempre essere attratto più che da personaggi ai margini che combattono il sistema, da furbetti che lo aggirano e forse, da questo punto di vista, è davvero l’esponente più accreditato della nuova commedia all’italiana. Non si può però dimenticare che il vero Giorgio Rosa, che nel film viene dipinto come un romantico anarchico, nella realtà era un ex repubblichino che aveva 43 anni quando decise di intraprendere il suo sogno di indipendenza. Anche se il film non è un biopic, contribuisce inevitabilmente a mitizzare la figura dell’ingegner Rosa, continuando sulla strada aperta nel 2012 niente meno che da Walter Veltroni e dal suo libro L’isola e le rose (quasi un titolo alla Loach) a cui si deve, non a caso, la consulenza storica del film.