A tu per tu con James Baldwin: Meeeting the Man su MUBI

James Baldwin è tornato a far parlare di sé nel 2016 grazie al film capolavoro I Am Not Your Negro del regista haitiano Raoul Peck, in cui, attraverso immagini di repertorio ed estratti dall’opera incompiuta di Baldwin Remember This House emerge la volontà di ripercorrere una storia personale splendidamente pubblica (e dalla forte valenza politica) in un denso affresco storico, che non ha perso la sua urgenza. Ci piace pensare che I Am Not Your Negro sarebbe piaciuto a Baldwin, ancor più dopo aver visto Meeting the Man: James Baldwin in Paris, che MUBI propone tra i cortometraggi. Scoperta inattesa per un film imperdibile in cui l’intellettuale scrittore di Harlem riesce, con passione e rabbia, a demolire e ribaltare l’idea originaria del documentarista britannico Terence Dixon che, al contrario di Peck, ha cercato di imporre allo stesso Baldwin uno schema di sé inaccettabile e più che mai falsato da un pensiero che potremmo definire “biancocentrico”. Nel 1970 Dixon e l’operatore Jack Hazan vanno a Parigi per incontrare Baldwin, da tempo lontano dagli Stati Uniti in una sorta di doloroso autoesilio. Il progetto era quello di realizzare il ritratto intimo di un uomo a partire dalla loro personale idea di Baldwin, icona della lotta contro la discriminazione razziale, intellettuale controverso e scrittore di grande fama. Quello che, però, si trovano di fronte è un uomo più che mai attento a non subire il preconcetto e a sfuggire ad ogni tipo di classificazione.

 

 

Il risultato è un documento di grande rilevanza storica e sociologica, che ci parla della violenza del mezzo cinematografico, quando viene usato per tradire il reale. E l’inganno è rivolto tanto al soggetto del film, quanto allo spettatore, che, si suppone, aderirà al punto di vista. Nel mezzo stanno il regista e il suo modo di vedere normativo e discriminatorio, perché raccontare James Baldwin non può prescindere dal contesto “rivoluzionario” in cui si inserisce la sua vita e dall’atteggiamento anticonformista con cui ha affrontato la scrittura e la militanza politica. Non sono possibili giochi retorici, non sono ammessi stereotipi o scorciatoie, di cui, invece, fa grande uso Dixon. “Non sono affatto quello che pensi che io sia” dice Baldwin a gran voce. Ogni stratagemma viene puntualmente smascherato e ribaltato dallo scrittore, che prende letteralmente in mano il film e lo trasforma anche in un saggio sulla manipolazione delle immagini. Davanti al monumento sorto su Place de la Bastille, Baldwin quasi sempre in primo piano è assediato dalla troupe. Interrogato, osteggiato, incompreso, deve ancora una volta far affiorare il suo rancore e argomentare sull’abitudine buonista del bianco sul nero, deve ripercorrere gli anni bui appena trascorsi in cui amici sono caduti sul campo di questa guerra subdola in corso negli Stati Uniti (Medgar Evers è stato assassinato il 12 giugno 1963, Malcolm X è stato ucciso il 21 febbraio 1965 e Martin Luther King Jr. è morto il 4 aprile 1968).

 

 

Scomodo e illuminante al tempo stesso. Meeting the Man: James Baldwin in Paris può essere visto come due film al tempo stesso, irrispettoso, nel suo essere pensato in forma di interrogatorio, inadeguato, nel mettere davanti alla macchina da presa lo scrittore afroamericano come fosse “un animale esotico” da mostrare al pubblico bianco, presuntuoso nella totale impreparazione del regista, eppure anche illuminante nel rivelare gli inganni ideologici che si nascondono in queste immagini, nel modo di filmare i protagonisti, di scrutare i loro volti o di porsi recriprocamente a disagio come strategia difensiva.Lentamente l’atmosfera si rilassa, sia davanti che dietro la macchina da presa lasciando finalmente a Baldwin lo spazio di usare le sue parole, il discorso conciso e concreto, ineccepibile, lucido e orgoglioso.