Arrivato alla quarta regia per il cinema, Stefano Sollima conferma la predilezione per storie che, pur nella loro unicità, corteggino comunque i meccanismi seriali. Se escludiamo infatti l’unicum rappresentato dall’esordio di A.C.A.B., il successivo Suburra ha poi generato una versione tv che si pone come una sorta di prequel della storia. Soldado, esordio nel mercato internazionale con una produzione statunitense, era di per sé un sequel (ancorché abbastanza autonomo) del Sicario di Denise Villeneuve. Questo Senza rimorso si va invece a porre nel più ampio mosaico delle avventure di Jack Ryan, risultando tanto un tassello nella rinnovata logica attuale degli “universi”, quanto l’apripista di una possibile saga parallela dedicata al personaggio di John Kelly. Sembra insomma che Sollima abbia saputo mettere a frutto un approccio che effettivamente spazia tra il piccolo schermo di Romanzo criminale e Gomorra e queste produzioni per il cinema – un po’ come il padre che si divideva tra i western di Cuchillo e le imprese di Sandokan – rinnovando così una tradizione che, in questo particolare momento storico, lo eleva a figura chiave per comprendere i meccanismi della transmedialità che stanno riscrivendo non solo gli equilibri produttivi, ma anche la fruizione stessa delle storie da parte del pubblico.
Stupisce pertanto come, in virtù di questi presupposti, Senza rimorso si ponga invece quale opera fieramente inattuale nel panorama contemporaneo, quasi un residuo di narrazioni del passato nella sua costante ricerca di uno svolgimento lineare e poco concentrato sull’intreccio. Il punto di partenza è offerto dall’omonimo romanzo di Tom Clancy, da cui però il plot devia abbastanza per lasciarsi alle spalle i cascami del semplice film di vendetta in favore di una visione più “politica”, che rifletta maggiormente le ansie della dimensione globale cara all’autore. John Kelly è dunque un ex Seal reduce da una missione “sporca” in Siria, dove la sua squadra è stata obbligata da alcuni giochi di potere a scontrarsi contro militari russi. La ritorsione da parte degli ex sovietici non si fa attendere e, al ritorno in patria, riduce Kelly su un letto d’ospedale dopo lo sterminio della famiglia. Più incline a capire cosa sia successo per dare un senso a quell’orrore, che a macchiarsi semplicemente le mani del sangue dei nemici, Kelly intraprende così la sua indagine affiancando un team operativo della CIA preposto allo scopo. Scoprirà in tal modo un complotto che riporterà a galla i fantasmi della Guerra Fredda e in cui i confini del bene e del male si riveleranno molto sfumati. Già nel ritorno di paure sopite si nota la tendenza a guardare al passato di una storia che evita tutti gli artifici del presente: nessun flashback, nessun colpo di scena imprevedibile (magari accompagnato da una qualche morte eccellente), nessun arzigogolo che distragga dalla messinscena di un universo plumbeo e attraversato da una tensione costante. Sollima dirige con polso il dramma di un protagonista costretto a essere un fantasma per ritrovare infine il proprio posto in questo scenario dai contorni incerti e che non a caso dovrà passare anche per una rituale morte e resurrezione con un nuovo nome. In questo modo, John Kelly si allinea facilmente agli altri antieroi cari all’autore, in un campo pieno di figure chiaroscurali dalla collocazione incerta.
Ma Senza rimorso ha qualcosa in più: ha la materialità pressante di una regia che lavora sugli oggetti allestendo una messinscena aspra nell’impatto di corpi e pallottole, ma elegante nella circolarità dei balletti delle forme. Si pensi alla torcia che rotea sul pavimento descrivendo porzioni di luce nel buio, o al vorticare dell’aereo in caduta che sembra preso da un film di Christopher Nolan, tanto per dare un altro riferimento molto attuale. E crea in questo modo un mondo affaticante, che sta addosso a un protagonista pure scolpito nella sua fisicità, ma che deve in ogni caso soffrire e lavorare duro per portare a termine i suoi compiti. È come se dalla “nascita” in acqua del prologo, Kelly impari poi a dover fare i conti con la sua materialità di carne, quasi rimpiangendo sempre la fluidità dei compiti militari dove tutto era (doveva essere) perfettamente schematico e riassumibile. Pertanto, Senza rimorso possiede una certa malinconia da Eden perduto, riassunta nello sguardo perso e a tratti assente di Michael B. Jordan, come questo mondo perennemente immerso nell’oscurità, in cui i rari tagli di luce creano motivi espressionisti negli ambienti, descrivendo uno spazio bicromatico, che pur nella complessità della messinscena conferisce al tutto una sua essenzialità e, di conseguenza, inattualità. Pertanto, la chiave d’accesso alla formula con cui Sollima mette in scena l’epopea del suo antieroe, sta forse tutta proprio nella ricerca di un punto di equilibrio fra tradizione e attualità, attraverso una storia che sembra uno scampolo del passato al pari di una filmografia sempre a metà fra il piccolo e il grande schermo – si pensi pure al postfinale davanti all’obelisco di Washington, con quell’aria così anni Settanta. A conferire ulteriore malinconia al tutto si aggiunge suo malgrado la vertigine distributiva in cui è stato costretto il film, annunciato per la sala ma poi costretto dalla pandemia a migrare direttamente in streaming su Prime Video. E a rinascere perciò come l’ennesimo fantasma nella fruizione all you can eat della rete.