Vincitore del premio per la migliore sceneggiatura originale agli Oscar 2021, Una donna promettente è l’esordio nel lungometraggio di Emerald Fennell, regista e attrice inglese già conosciuta per aver co-scritto la serie di successo Killing Eve e interpretato il ruolo della Duchessa di Cornovaglia nella quarta stagione di The Crown. Tornare al cinema dopo quasi un anno di chiusure ha il sapore di una vendetta lenta e pungente in questa dark comedy con elementi thriller, che riporta con forza all’attenzione un tema attualissimo nella società di oggi, quello del consenso e più in generale le tematiche care alla causa femminista. La protagonista, Cassie, ha un passato segnato da un trauma, un fatto terribile avvenuto durante gli studi alla scuola di medicina che aveva coinvolto in prima persona la sua migliore amica Nina: un abuso da parte di un gruppo di colleghi che avevano approfittato della non sobrietà della ragazza. Basta questo fatto e la reputazione infamante di ragazza facile per assicurare il beneficio del dubbio a chi ha commesso il fatto e per compromettere invece irrimediabilmente le vite delle reali vittime in un sistema dove tutti, a tutti i livelli, sono conniventi, uomini e donne, chi semplici spettatori, chi potenti dirigenti, chi avvocati ricattatori. Per Nina, anche se non viene mai esplicitato, sappiamo che non è finita bene; e così per Cassie, che ne è l’alter ego e porta il nome dell’amica appeso al collo, Nina è una presenza che non la abbandonerà mai. La sua vita dopo quel fatto è radicalmente cambiata: da giovane donna dalla carriera promettente, a cameriera in una caffetteria, Cassie si è negata tutto nella vita, dagli amici, alle relazioni sentimentali, alle prospettive di lavoro; nulla ha più sapore se non, appunto, una vendetta acuta e premeditata che Cassie mette a punto tutte le settimane: di notte si reca in un locale si finge ubriaca e aspetta che il primo “ragazzo gentile” si avvicini e le offra aiuto, in realtà con il preciso scopo di approfittarsi di lei facilmente.
Ed è a questo punto che lo sguardo si accende, il tono si fa perentorio e la presunta vittima si mostra nella sua completa sobrietà, terrorizzando il viscido di turno con lo scopo di dargli una lezione e portarlo a riflettere sulla sua esecrabile condotta. Cassie ha il volto angelico e disilluso di Carey Mulligan, una perfetta figura di moderno angelo vendicatore o Madonna (in)sofferente (e tanti infatti sono i simboli dell’iconografia cristiana disseminati nel corso del film), immersa però in un contesto estremamente pop, se non addirittura kitsch, una facciata di cromie candy style che creano un contrasto altamente stridente con la serpeggiante angoscia di fondo. È un agire, quello della protagonista, dagli echi tarantiniani (il taccuino su cui tiene il conto delle vendette ricorda quello di Kill Bill), che però non reca alcun sollievo: Cassie non trova mai pace e il suo piano per vendicare Nina sembra in questo senso destinato a non avere mai fine. Fin quando un giorno riappare un vecchio compagno della facoltà di medicina, Ryan (Bo Burnham), diventato nel frattempo un pediatra di successo; i due si piacciono e superate le prime incomprensioni e resistenze cominciano una relazione. Mentre Cassie sembra riuscire a guardare finalmente avanti come molti le suggeriscono di fare, emergono però dei nuovi elementi che potrebbero portarla ai veri responsabili coinvolti in quel tragico episodio, persone che ora come allora continuano a vivere impuniti e nel pieno del successo; un’occasione da non farsi sfuggire. Ed ecco quindi che si ritorna nella spirale della vendetta, ma questa volta fin dove sarà necessario spingersi? Non diciamo di più, per non rovinare il gusto della visione e della scoperta agli spettatori. Su una versione strascicata per soli archi del brano Toxic di Britney Spears si preparino però preventivamente a trovare dietro l’angolo il grottesco e, poco più in là, la beffa.