Da sempre Annie Ernaux affronta da “etnologa di se stessa” (come si è definita in La vergogna) la sua storia personale in parallelo alla Storia e alla società in cui si è trovata a vivere dando vita a romanzi autobiografici che fanno da specchio a ognuno di noi. Lo stesso succede in I miei anni Super 8, realizzato con il figlio David, un racconto in immagini che attraversa un periodo di tempo piuttosto lungo, dal 1972 al 1981.
Tutto inizia quando il marito Philippe Ernaux introduce nella loro vita di trentenni con due figli piccoli – Éric e David – una cinepresa, oggetto di culto, più necessario per loro «di una lavastoviglie o di un televisore a colori». La famiglia vive in quel periodo ad Annecy dove Philippe ha ottenuto un posto da segretario comunale mentre la futura scrittrice insegna lettere in una scuola media. Le riprese, con il loro tratto di «happening teatrale», la vedono protagonista insieme ai figlioletti e alla casa in cui vivono e di cui il marito filma gli arredi, la carta da parati, i simboli di quella che si configura come «una borghesia di fresca data». È sempre il marito a riprendere a causa di una separazione dei sessi («separazione sessuata», la definisce la Ernaux) ben netta all’epoca a cui nemmeno lei sembra poter sfuggire. Con loro vive la madre di Annie che la aiuta nella gestione dei figli e che sente di non essere al posto giusto. Al centro del bellissimo Una donna – che la Ernaux scrive dopo la sua morte per «fissare in immagini» colei che «è priva di storia. C’è sempre stata» -, la madre appare nei filmati casalinghi sempre vestita di un grembiule, mentre all’esterno ha sempre l’immancabile tailleur (e borsetta).
Tormentata dal desiderio di scrivere – per «raggruppare tutti gli eventi della mia vita in un romanzo violento» – la Ernaux nei primi anni 70 si dedica alla scrittura nei giorni in cui non ha lezione, consapevole di non poterne parlare con il marito né tantomeno con la madre che rappresentano «il punto di partenza e il punto di arrivo del suo percorso sociale» fino a quel momento.
Il tempo passa, le immagini parlano di viaggi per allargare gli orizzonti dei figli e di Storia (il Cile di Allende che dopo un anno e mezzo non esisterà più, il villaggio vacanza a Tangeri dove tutto è fasullo, l’Albania di Enver Hoxha con la Sigurimi, la polizia segreta, che tiene d’occhio i movimenti dei turisti, la Spagna post-Franco alle prese con gli attentati dell’ETA, Londra, il Portogallo e Mosca), di vacanze in Ardèche (a contatto con una Francia ancestrale, preindustriale in cui il concetto di inquinamento inizia a prendere forma) e di benessere (il piccolo monolocale acquistato in montagna). Anche in Francia ci sono cambiamenti significativi: alle elezioni del 1974 gli Ernaux votano il socialista Mitterand sconfitto al secondo turno da Valéry Giscard d’Estaing, Simone Veil parla della legalizzazione dell’aborto (che diventerà poi la legge che porta il suo nome nel 1975). Il 1974 è un anno molto significativo per la Ernaux che vede pubblicato il suo primo manoscritto, Gli armadi vuoti (in cui assume il punto di vista di Denise Lesur una ragazza in attesa di abortire che torna sul suo passato).
«In queste immagini mute i corpi sono eloquenti»: la Ernaux appare spesso in disparte, poco integrata con il resto della famiglia del marito nelle occasioni di incontro, isolata in montagna dove è l’unica a non sciare. Segnali di un disagio sempre più palpabile. Non a caso il tempo subisce un’accelerazione, le riprese si diradano: nel 1976 il viaggio di famiglia a Londra in cui evita accuratamente i luoghi del suo primo soggiorno all’estero come ragazza alla pari (raccontato in Memoria di ragazza); l’anno successivo, il trasferimento a Cergy, segna un punto di non ritorno: non più riprese di interni, ma solo in esterno, di una «città astratta in divenire» (la banlieue parigina in espansione) a sancire un allontanamento sempre più profondo nella coppia di quasi quarantenni e un inasprimento dei conflitti che porta la Ernaux a riconoscere di essere «di troppo» nella vita del marito. Con la pubblicazione di La donna gelata (1981), racconto dell’educazione sociale, sentimentale e sessuale di una donna e sulle disparità nella vita di coppia, la relazione peggiora. Fine di una storia con lei che diventa «custode della vecchia vita» (la cinepresa segue Philippe, Annie conserva i vecchi filmini). «Un’autobiografia familiare» che aggiunge un ulteriore importante tassello alla produzione della scrittrice premio Nobel che ci cala in un tempo non così lontano per gettare «un po’ di luce su quegli anni». E inevitabilmente, come sempre succede con Annie Ernaux, su di noi.