Il segreto del viaggio non è la meta, ma il tempo speso per raggiungerla: in questa filosofia, spesso enunciata nelle interviste, si riassume molta parte della sostanza artistica di Leiji Matsumoto. Un assunto facile da constatare per chiunque abbia seguito le lunghe epopee di Tetsuro a bordo del Galaxy Express 999, o i viaggi verso il pianeta Iskandar della Corazzata Yamato, fino naturalmente alle tante avventure stellari di Capitan Harlock. Serie che, arrivate in Italia ai tempi del primo anime boom, si distinsero immediatamente per il loro approccio riflessivo, malinconico, eccellente nel tratteggiare personaggi outsider, guidati unicamente dalla loro incrollabile etica e dai rispettivi valori. Le loro storie, pur contemplando inevitabili battaglie stellari, assaporavano il piacere della contemplazione, il gusto del momento protratto a lungo, la profondità mitica evocata dalla sola presenza degli eroi o dal fascino diafano delle celebri donne filiformi, tracciando una possibile terza via della fantascienza, distante tanto dalla positività di Star Trek quanto dall’entusiasmo rivoluzionario di Guerre stellari. Quanto si ignorava all’epoca è che dietro quelle serie, che tutte insieme fanno parte di un enorme affresco spaziale, ci fosse una sola matita, quella di Matsumoto appunto. E che, per comprenderne la portata, si sarebbe dovuto mettere insieme Richard Wagner, il western italiano, il cinema francese, e la Seconda guerra mondiale.
Tra le fila dei piloti dei temibili caccia Zero militava infatti il padre del giovane Akira Matsumoto (questo il nome di battesimo del nostro), i cui racconti da reduce influenzeranno tanto il futuro mangaka. Per mettere a frutto questo bagaglio di storie, arricchito da tante letture, Matsumoto decise di dedicarsi al fumetto, arrivando a vedersi pubblicato il primo lavoro a soli sedici anni, nel 1954: Le avventure di un’ape – recuperato in anni a noi molto più vicini grazie al lavoro dell’Associazione Culturale Leiji Matsumoto. Per sua ammissione, le prime produzioni risentivano però di un carattere introverso e poco incline a cercare il favore del lettore, un’attitudine in seguito mitigata dalla passione per i viaggi e da una progressiva curiosità per l’essere umano nelle sue contraddizioni. Il successo arrivò così nel 1971 con Otoko Oidon, ovvero le comiche avventure di uno studente squattrinato che vive in un appartamento, sempre sporco e in mutande. In mezzo, anni di gavetta sugli shojo manga (i fumetti per il pubblico femminile), ottima palestra per maturare il senso del fantastico e l’espressività dei volti, fino al passaggio alle riviste per ragazzi con l’interessante Sexaroid, in cui già fa capolino l’interesse per la fantascienza, complice un’agenzia di spionaggio del futuro che utilizza come agente da infiltrazione un’androide creato originariamente come giocattolo sessuale. I tempi, insomma, erano maturi per qualcosa di più complesso, complice anche il mercato dell’animazione televisiva che iniziava a corteggiare gli autori giovani, per ottenere nuove idee. Così fece il produttore Yoshinobu Nishizaki di Academy Productions nel 1974 per sbloccare il suo progetto di una serie spaziale arenatasi in seguito a vari travagli in fase di concezione. Con l’arrivo di Matsumoto, La Corazzata Yamato poté dunque prendere il volo, segnando una tappa fondamentale nell’evoluzione dello storytelling degli anime televisivi, fino a quel momento ancora abbastanza legato a una narrazione episodica con personaggi più tipizzati.
La storia si incentra sul recupero della celebre nave affondata durante la Seconda Guerra Mondiale (sempre lì si ritorna), il cui relitto viene trasformato in astronave per un viaggio volto a recuperare l’antidoto alle radiazioni che hanno costretto l’umanità nel sottosuolo della Terra. La serie arriverà in Italia nella versione rimaneggiata dalla distribuzione statunitense, con il titolo Star Blazers (e nel doppiaggio la Yamato diventerà la Argo), mentre sarà la lettura del manga a rivelare un inatteso segreto: Mamoru Kodai, fratello del protagonista Susumu, creduto morto a inizio missione, ritorna sotto le spoglie di un embrionale Capitan Harlock! L’idea del celebre pirata spaziale, insomma, c’è già e per la sua versione definitiva, Matsumoto fonderà il suo interesse per i racconti marinari letti in gioventù, la fascinazione per il Sigfrido de L’anello del Nibelungo wagneriano, la passione per il western italiano, all’epoca molto popolare in Giappone, rivisto però attraverso l’etica del jidai geki e le storie dei samurai. Manga e serie elaborano così il concetto dell’eroe solitario che nell’Eden ritrovato dell’astronave Arcadia (in cui un eterogeneo equipaggio trova la sua realizzazione), diventa l’ultimo baluardo contro gli invasori di una Terra che pure lo ritiene un criminale. Il romanticismo estremo del personaggio, l’esaltazione dei valori di amicizia contrapposti a un’umanità arrogante e istupidita dal consumismo, creano un’icona perfettamente in grado di tenere insieme il senso della grande epica spaziale e le tribolazioni di una generazione senza più punti di riferimento, entrambi tipici della seconda metà degli anni Settanta.
Il resto lo fa uno stile che porta a definitiva maturazione l’estetica di Yamato, con personaggi longilinei (o all’opposto, estremamente tozzi nelle figure di contorno) resi attraverso pochi tratti, ma con una grande espressività concentrata nello sguardo. È un trionfo destinato a proseguire nel film L’Arcadia della mia giovinezza, ispirato pure dai temi della separazione, del rimpianto per la terra natia e per l’adolescenza perduta del film Marianne de ma jeunesse, di Julien Duviver. L’affresco spaziale proseguirà quindi con Galaxy Express 999 e La regina dei mille anni, in cui emergono maggiormente i personaggi femminili, figure malinconiche e quasi diafane, ma mai indomite, tanto abili con le armi quanto capaci di evocare ideali poetici – lo stesso dualismo di Sexandroid, tanto per ribadire la coerenza dell’autore. La viaggiatrice Maetel, la regina Yukino e la piratessa Emeraldas diventano così emblemi di un’estetica femminile personalissima, al contempo sensuale e fiabesca, che esplode nelle raffigurazioni artistiche di cover e pin-up – da consigliare a questo proposito l’artbook Manga of Zero Dimension, edito in Italia da Nippon Shock Edizioni. Nel frattempo, si sublima il tema del viaggio e del tempo speso per comprendere quanto si è perso o si rischia di non avere più, in una circolarità della narrazione che è tipica della produzione stessa dell’autore. Gli anni più recenti lo vedono infatti impegnato in continui ritorni sulle sue opere e sui personaggi più celebri, spesso con progetti pensati per vari formati (manga, serie anime, lungometraggi in CG, web comic), sempre con l’obiettivo di raccontare l’umanità, la sua storia e i suoi errori, mentre lo sguardo è ancora rivolto alle stelle.