Un giorno del 1966 una ragazza dalla bella voce diede buca a un musicista della scuderia Ricordi che l’aspettava all’ex Trianon di Milano per coinvolgerla nel progetto di una band tutta al femminile. Il musicista era Lucio Battisti. La carriera musicale mancata era di Valeria D’Obici. Chi è costei? diranno in tanti. Ebbene il libro di Francesco Foschini con la collaborazione di Stefano Careddu, Valeria D’Obici – Dizionario di un’attrice “sui generis”, uscito da poco per i tipi di Falsopiano, ricorda la carriera di una protagonista del nostro teatro, in prima battuta, e poi del cinema e della televisione. Nel 1981 Valeria D’Obici ha vinto il David di Donatello come migliore attrice per la magnifica Fosca di Passione d’amore di Ettore Scola, ruolo che riuscì a far proprio in modo indimenticabile ma che la relegò per mezza carriera in parti simili di donna dalle caratteristiche fisiche sgradevoli, e spesso, per estensione, pure quelle caratteriali. «Una sorta di macabra e disperata versione al femminile di Nosferatu» la definisce Paolo Mereghetti. Ligure di nascita, milanese d’adozione («per amore di Jannacci»: il legame con Milano è indissolubile e struggente), romana per necessità di vita e lavoro, D’Obici si racconta spesso tra le pagine in prima persona, gli autori confessano di averla frequentata per carpire aneddoti e storie di una carriera lunga e tutt’altro che terminata. Era nel cast del recente Dante di Pupi Avati, regista che spesso la chiama con sé («Pupi è il bengodi dell’attore, riesce a metterti a tuo agio perché ti dà la libertà di tirar fuori quello che senti dentro»). In particolare, il suo percorso è esemplare di quella che poteva essere la crescita di un’attrice tra gli anni 60 e i 70, divisa tra impegno anche politico, coinvolgimenti sentimentali e lavoro vero e proprio.
Valeria comincia con la cooperativa teatrale che avrà in gestione il mitico Salone Pier Lombardo di Milano, dove rimane per ben sei anni insieme a gente del calibro di Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah (ma per due stagioni ha lavorato anche nella compagnia di Eduardo De Filippo), poi esordisce su grande schermo nel poliziottesco La polizia ha le mani legate di Luciano Ercoli (1974, immagine d’apertura) con Claudio Cassinelli. Non ha problemi a partecipare a film di cassetta, anzi una parte della sua carriera è consacrata alla commedia, perfettamente nelle sue corde. In particolare con Massimo Boldi ha una eccellente sintonia, in titoli come il primo Yuppies dei Vanzina o Anni 90. Nel libro commenta in prima persona tutti i principali film, compresi quelli più alimentari, ma al suo attivo ha pure qualche titolo di culto come Fuga dal Bronx di Castellari («L’unico post-atomico che ho girato. Mi piacque, soprattutto perché trascorsi una settimana a New York. Recitai in inglese con una fatica immane») e 45° parallelo di Attilio Concari («Se Passione d’amore è stato il mio film più importante, 45° parallelo è il mio preferito»).
Per Uno scandalo perbene di Pasquale Festa Campanile («Era un signore: gradevole, colto, squisito, intelligente») riceve un’altra nomination al David «vinto meritatamente da Marina Confalone per Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo». E questo è un aspetto che traspare naturalmente dal libro, la schiettezza simpatica dell’attrice, capace di mettere ogni cosa nella giusta prospettiva, persino i riconoscimenti. Il David vinto per il film di Scola «ogni tanto lo uso per schiacciare le melanzane sotto sale perché ci vuole un bel peso per far uscire l’acqua!». Ma non si fraintenda: serietà e sensibilità sono tipiche di Valeria D’Obici che però non intende il proprio lavoro come un “mestiere”: «Fare l’attrice è sempre stato uno sfogo a livello emotivo per me. Ad esempio, Passione d’amore è stato uno sfogo sentimentale meraviglioso».