Dove eravamo rimasti? Senza soluzione di continuità, Denis Villeneuve ci riporta sul pianeta di sabbia subito dopo la terribile battaglia che ha visto la sconfitta del duca Leto e il massacro del suo esercito da parte degli Harkonnen. Dune – Parte 2 inizia dove si era concluso il primo episodio, con Paul Atreides e sua madre – la Bene Gesserit Jessica -, a conquistare la fiducia dei Fremen. Riorganizzare la loro vita, alla luce del passato e delle continue visioni dei sogni di Paul, diventa l’imperativo categorico, il punto di ripartenza. Dopo gli interrogativi, le riflessioni, l’ascolto del primo episodio, è ora di agire. Anche contro la propria stessa natura. E Paul impara in fretta a muoversi tra le dune. Lui, che una buona parte dei Fremen crede essere il predestinato, mandato a salvare il pianeta da cui si estrae la spezia ambita in tutto l’universo, si percepisce come una sorta di cadetto, capace di vedere sempre più lontano e per questo timoroso di quel tempo imminente fatto di morte e distruzione. Preveggente di un’umanità costantemente in guerra, bisognosa di stratagemmi “divini” per resistere a sé stessa, Frank Herbert nel suo Dune, a metà degli anni Sessanta aveva anticipato la letteratura fantasy e il cinema stessi (ma con lo sguardo rivolto a Shakespeare), costruendo un’epica di tale forza, da ispirare a sua volta nuovi narratori di miti e di eroi, da George Lucas, con Star Wars a Ridley Scott con Alien. La storia dell’uomo si ripete sempre uguale, tra realtà e leggenda, perché l’iperbole serve a conoscere e abitare il cuore pulsante delle cose, che solo una lente d’ingrandimento può rendere accessibile. E la lente in mano a Villeneuve è la sua pratica cinematografica, fatta di edifici narrativi imponenti resi, tuttavia, agili da un impianto simbolico mai fine a sé stesso, che si enuncia attraverso la parola, i segni e i suoni, in una commistione di lingue e di linguaggi.
Proprio come in Arrival, dove solo la comunicazione – e quindi l’esatta sua interpretazione – può salvare una vita e il mondo intero, in Dune – Parte 2 parole rappresentano l’immateriale veicolo di una conoscenza che travalica le singole circostanze e mette in collegamento linee temporali altrimenti impossibili da congiungere. In questi grumi di profonda vertigine, persiste l’aspetto contemplativo di cui era pervaso il precedente Dune, come se esistesse un livello, o meglio, uno strato impalpabile, in cui ha luogo un’altra narrazione, in cui si consuma il politico di una vicenda fisica e razionale, fatta di continue e conseguenti battaglie. Linee inseparabili in cui la speculazione si specchia dapprima nell’azione, per poi diventarne vettore, demiurgo al di là del bene e del male. Qui si mostra l’origine di ogni guerra santa, il momento esatto in cui il potere sceglie di usare il fondamentalismo, manipolandolo a suo piacimento, sfruttando (suo malgrado) il consenso sulle masse, sostituendo la complessità con il rito. L’antico conflitto tra la Ragion di stato e la legge morale. E poi ci sono i segni premonitori, come le cupe macchie di inchiostro che si stagliano sul cielo di Giedi Prime, a coronamento di una parata che ricorda le rappresentazioni naziste di Leni Riefenstahl, in un bianco e nero che è assenza di colore piuttosto che esaltazione delle sfumature di grigi.
Vaticinio plumbeo e pesante, che risuona in una colonna sonora di rumori sinistri, intrinsechi al paesaggio inospitale, alle visioni di Paul e al divenire vertiginoso di eventi inarrestabili. Storie di padri, madri e di figli, di casate e contaminazioni, di destini inevitabili e di scelte. Storia di Paul/Usul/Muad’Dib, figlio di Leto Atreides, che porta sulle spalle la responsabilità di una casata, ma anche figlio di una sempre più potente sacerdotessa, impegnata, forse, a portare la pace universale, o meglio, l’illusione della pace che deve passare (come nell’urgente nostro presente) attraverso morti e distruzioni. Su di lui pesano due responsabilità, qui e ora e nell’indefinibile futuro. Il potere per il potere, o il suo esercizio per la collettività. Piani scivolosi in continua sovrapposizione.