Ispirato a una storia realmente accaduta qualche anno fa in Sardegna e diretto da Marco Amenta, già documentarista e fotoreporter, oltre che regista di Tra le onde e La siciliana ribelle, Anna è una storia di resistenza e di resa dei conti, in cui una donna si oppone al potere del denaro per un principio di sopravvivenza personale che, in un’ottica nuova, rappresenta la salvaguardia dell’identità di un’intera comunità. Tutto comincia quando la giovane Anna scopre che il comune ha venduto il suo terreno ad una multinazionale del turismo di lusso per costruirci un resort di grandi proporzioni, pronto a richiamare il turismo in una zona meno battuta della Sardegna, e a dare ai suoi abitanti un lavoro. Ma il personaggio creato da Amenta non intende cedere la sua proprietà, anche se mancano i documenti perché quarant’anni fa una stretta di mano sostituiva gli atti notarili e gli abitanti ne erano testimoni. Tornata da Milano dopo un matrimonio fallito, Anna (Rose Aste) riprende in mano l’attività del padre e alleva capre e produce formaggio, che vende ai negozi del paese. Dall’alto della sua collina si vede il mare e si può godere del silenzio assoluto delle notti, fino a quando arrivano con prepotenza le ruspe e scavare e deturpare. La reazione della donna non può che essere di ribellione e opposizione. Senza ragionamenti e senza condizioni. Anna si costruisce via via tra lotta e delusioni, tra adrenalina e rabbia, senza mai esitazioni. La protagonista è una donna testarda, splendidamente imperfetta ma consapevole della necessità di sacrificare qualcosa per non perdere la sua identità.
Come spesso accade in questi contesti, la sua storia si un legame profondo con gli alberi, gli animali, la terra. E così, è disposta a rinunciare alle amicizie pur di non dimenticare le sue origini, restare fedele a se stessa e alla sua decisione di vivere una vita aspra ma scelta da lei in tutta libertà. La libertà è uno dei temi ricorrenti nei dialoghi. Si tratta sempre di un principio, di un ideale di vita, anche scomodo, che non accetta aggiustamenti sociali. Contro il cantiere e gli avvocati del gruppo francese, contro i rumori che disturbano le capre che non fanno più latte e contro i pregiudizi di un paese dove “comandano gli uomini e le donne eseguono”. Anna incarna tutto questo, con la sua voce tonante, i gesti istintivi, le parole del dialetto sardo che sanno graffiare una realtà assuefatta, i suoi tuffi in mare improvvisi e le feste notturne nei pochi locali della zona. Amenta segue la sua protagonista da vicino. La camera a mano è ruvida come questo racconto, il suo andamento è in sapiente sottrazione (nessuna colonna sonora, solo i rumori e i suoni della natura), svicolando ogni retorica, cercando la verità inconfutabile ed esaltando la claustrofobia della situazione per dimostrare con forza la prepotenza di un’occupazione. Sacrificare il paesaggio pur di partecipare di un benessere a lungo agognato, uscire dall’isolamento di un’economia di povertà sono i punti di divergenza tra Anna e l’opinione diffusa in questa piccola comunità. Il finale non sanerà questo contrasto, ma spegnerà, qui e ora, i motori del degrado.