Destiny è un videogioco horror sci-fi. Un First Person Shooter da giocare in gruppo con elementi di un gioco di ruolo, in un contesto di multiplayer di massa. Destiny è una promessa mancata, un racconto di fantascienza che si perde tra mille galassie inesplorate. Non si tratta solo di una critica al videogioco o al suo gameplay, ma di una riflessione su come si gioca oggi, come cambia l’intrattenimento digitale. La trama è debole, quasi inesistente, ci sono i buoni, i cattivi, gli invasi e gli invasori, ma non si raggiunge mai un livello di coinvolgimento emotivo con i personaggi. Spesso ci si trova a compiere obiettivi più per il dovere di farlo in cambio di qualcosa piuttosto che per piacere del gioco. In pratica i programmatori diventano vere divinità del videogioco, sono dei crudeli e si divertono a giocare con gli utenti. L’obbiettivo del gioco è fare crescere il personaggio fino al massimo livello, e qui intervengono gli dei degli oggetti. Per fare crescere il personaggio, esclusa la prima parte di gioco diventa inutile l’esperienza. Servono oggetti, vestiti e armi per sbloccare ulteriori oggetti vestiti e armi. Il dropping diventa elemento centrale di attesa e frustrazione.
Sarà il dio degli oggetti spesso a decidere cosa verrà distribuito dai venditori o droppato durante le missioni di gioco. Un meccanismo di attesa e soddisfazione che ricorda molto da vicino lo shopping compulsivo, rendendo le dinamiche di gioco finalizzate ad un obbiettivo virtuale più che al divertimento.Nello sviluppo del gioco conta molto la questione del Dlc, ( i contenuti extra downlodabili a pagamento) una delle ultime derive commerciali dell’industria videoludica. Non sono neanche sequel, ma parti più o meno grandi che vanno ad aggiungersi al prodotto e contenuto iniziale. Ovviamente a pagamento. Senza i Dlc non si va avanti e quindi diventano fondamentali per lo sviluppo del gioco. Il meccanismo di Dlc implica anche che una serie di potenzialità notevoli del gioco sembrano sviluppate solo in parte per garantire una grande longevità al prodotto videoludico. Attenzione però il gioco è attraente, la possibilità di muoversi tra i pianeti del sistema solare è eccitante. La grafica è eccezionale, ma la sensazione di spazio infinito e l’assenza di free roaming si trasforma velocemente in qualcosa di claustrofobico a causa della struttura di livelli in un sorta di Truman Show, come scrive giustamente Keith Stuart del Guardian. C’è una forza di attrazione notevole. Come la necessità di fare gruppo per poter compiere una serie di azioni impossibili a livello individuale. Ritrovandosi con cuffie e microfoni a parlare nello slang universale dei videogiochi, in cui una serie di azioni hanno un proprio linguaggio con termini come shardare, farmare e droppare, per rimanere nell’ambito esoterico. La formazione del gruppo non avviene spesso in maniera automatica, costringendo gli utenti a socializzare, e le caratteristiche multiplayer sono quello che funzionano meglio e sono finalmente divertenti vista anche la vivacità di orde di ragazzini in attesa del prossimo drop da parte del dio degli oggetti. Resta il dubbio di fondo, “farmare” per ore ore per avere oggetti che dopo poco tempo risultano obsoleti, ricorda molto qualcosa che riguarda il desiderio dell’oggetto tecnologico. Come diceva qualcuno il valore mistico della merce non deriva dal suo valore d’uso. Per Destiny è sicuramente così.