Fallout, da un franchise storico di videogame alla serie retrofuturista su Prime Video

Per secoli l’America è rimasta ferma agli anni ’50, un futuro vintage che non si è mai mosso dalle linee pulite e dalla fede cieca nel sogno conservatore e borghese, congelata in una guerra fredda infinita col nemico oltrecortina, un braccio di ferro costruito sulla deterrenza atomica che presto o tardi dovrò pur giungere a un punto di rottura. Poi, dopo che le bombe sono cadute e che l’umanità ha ricominciato a camminare sulla terra, le vicende di una serie di personaggi s’intrecciano fino a collidere. Un’abitante delle comunità sorte nella rete dei rifugi antiatomici, un cowboy sfigurato e cambiato dalle radiazioni e lo scudiero di un cavaliere in armatura ipertecnologica si muovono in un nuovo far west anarchico e sfaccettato, insidioso ma in un certo senso familiare. Pare chiaro che dietro a Fallout , la serie TV nata dalla saga videoludica di culto, creata da Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner, c’è una produzione che ci crede forte. Crede forse in una licenza storica con un pubblico affezionato, una base di partenza che può aver trasmesso solidità al momento di fare gli investimenti, fatto sta che per la realizzazione di Fallout non si è badato a spese, in nessun senso. La serie è molto ricca, sia visivamente sia narrativamente. Naturalmente è il primo aspetto a colpire di più, con un’estetica retrofuturista curata nei minimi dettagli, piena di chicche che trasmettono con forza l’idea di questi anni ’50 mai finiti, sia a livello di worldbuilding sia come stato mentale. Fallout (diretta fra gli altri da Jonathan Nolan) gode di un’ambientazione immersiva e generosa che trasmette nostalgia e sense of wonder allo stesso tempo. Dai bunker ai villaggi passando per aree selvagge lo spazio è un mezzo narrativo fondamentale per la serie, a cui conferisce un’identità visiva forte e inconfondibile anche per chi, come chi scrive, non è particolarmente legato ai videogames da cui la serie è tratta.
 

 
A livello narrativo ci troviamo di fronte alla classica serie corale in cui le storyline vanno progressivamente a convergere in uno scenario che porta al pettine tutti i nodi. A voler vedere non è nulla di particolarmente innovativo ma la macchina è imponente e funziona nel suo intento di voler offrire una dose generosa d’intrattenimento pieno di ritmo, azione e ironia. Il tono scanzonato infatti ci prende stemperando a dovere una serie che, prendendosi eccessivamente sul serio, avrebbe rischiato di risultare un baraccone pacchiano e involontariamente comico. Ecco, qui la comicità non manca ma quando c’è è consapevole, è lì che in determinati momenti gli sceneggiatori vogliono arrivare e ci riescono con una certa precisione. Certo, Fallout in definitiva non è nulla di troppo memorabile, non è quella serie TV che un domani potremo definire come uno spartiacque ma nemmeno lo vuole essere. Fallout si guarda per divertimento e per godersi un prodotto riuscito, che centra il punto senza strafare in un’osmosi felice tra forme di narrazione che si scambiano le idee declinandole ognuna secondo le proprie peculiarità.