Apple/1984 vs IBM/Charlot nel saggio di Fabio Vittorini

Copertina (solo fronte)Apertura, divagazione, discontinuità, pluralità: questi i lasciapassare usati nel saggio di Fabio Vittorini per addentrarsi nella storia della narrativa statunitense degli anni 1984-2014. Contro le costruzioni militari della storiografia vengono mobilitati «il moto di piazza dell’aneddoto», che «ci avvicina le cose nello spazio, le fa entrare nella nostra vita», e un dialogo serrato tra portatori di linguaggi eterogenei ma irreversibilmente contaminati gli uni con gli altri: romanzieri (DeLillo, Roth, Pynchon, Updike, Vonnegut, McCarthy,Auster, McInerney, Ellis, Wallace, Franzen, Lethem, Foer, Chabon, Palahniuk, Eggers, Eugenides, Sedaris, Ferris), narratologi (Ricoeur, Brooks), culturologi/mediologi (Lyotard, Turkle, Di Nucci, Bolter, Grusin), artisti (Haring, Estes, Viola), graphic novelist (Eisner), fotografi (Prince, Sherman, Gonzalez-Torres), registi (Altman, Schepisi, Cronenberg, Lynch, Van Sant, P.T. Anderson, Malick, Nolan, R. Scott, Haynes, Jonze e gli outsider Leone e Wenders), net artist (Jodi), autori di serie tv (Star, Abrams, Lindelof, Ball), informatici/nerd (Jobs, Berners-Lee, Zuckerberg) e videogame designer.

Dall’ottimo saggio di Fabio Vittorini  (Pàtron Editore pag.236, euro 22) pubblichiamo un estratto incentrato sulla guerra negli anni Ottanta, a colpi di spot, fra una Apple che attacca con spot orwelliani e una IBM che fin dal 1981 si è affidata a Charlot.

 

imagesNel tunnel trasparente n. 14, sospeso nel vuoto di uno degli enormi cavedi cilindrici di una buia città tentacolare, uomini pallidi, con i capelli rasati, in uniforme grigia, marciano in fila accanto a una teoria di televisori che mostrano l’interno della hall dove stanno andando a sedersi. Al centro della hall, su un grande schermo, campeggia il volto di un uomo occhialuto che con voce stentorea dice:

Today, we celebrate the first glorious anniversary of the Information Purification Directives. We have created, for the first time in all history, a garden of pure Ideology, where each worker may bloom, secure from the pests purveying contradictory truths. Our Unification of Thoughts is more powerful a weapon than any fleet or army on earth. We are one people, with one will, one resolve, one cause. Our enemies shall talk themselves to death, and we will bury them with their own confusion. We shall prevail!

 

Nel frattempo una ragazza bionda e abbronzata corre verso la stessa hall, inseguita da un plotone di militari in tenuta antisommossa. Nell’istante in cui l’uomo occhialuto pronuncia l’ultima parola del suo discorso, la ragazza scaglia un grande martello contro lo schermo facendolo esplodere. Inondati dalla luce e dal fumo dell’esplosione, gli uomini grigi restano immobili e, con le bocche spalancate1984, emettono un «oooooo» di sorpresa. La ragazza è vestita da atleta: canotta bianca, shorts arancioni e fascette di spugna ai polsi. È il 1984: l’anno delle Olimpiadi di Los Angeles, boicottate dall’URSS come gli USA quattro anni prima hanno boicottato quelle di Mosca (il martello si rivela dunque un indizio).  Sulla canotta della ragazza è impressa la silhouette di una mela e di un computer. Il 1984 è anche l’anno in cui Apple Computer Inc., fondata nel 1978 da Steve Jobs, Steve Wozniak e Ronald Wayne, lancia il primo computer della famiglia Macintosh (il 128K) attraverso lo spot pubblicitario (titolo: 1984; durata: 60’’) che mette in scena la storia che abbiamo appena raccontato e si conclude, sull’«oooooo» degli uomini grigi, con la lettura in voice over di un  testo che entra in scroll sovraimpresso (nel font proprietario Apple Garamond): «On January 24th, Apple Computer will introduce Macintosh. And you’ll see why 1984 won’t be like “1984”»; chiude tutto una schermata nera con al centro una mela morsicata a bande colorate orizzontali.

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L’ideatore dello script Lee Clow (in team con Steve Hayden e Brent Thomas) e il regista Ridley Scott, reduce da Alien (1979) e Blade Runner (1982), danno forma a un racconto di sci-fi distopico che, attingendo a piene mani all’immaginario funzionale e iconografico di Metropolis (1927) di Fritz Lang, ovviamente di Nineteen Eighty-Four (1984, 1949) di George Orwell e anche di Do Androids Dream of Electric Sheep? (Il cacciatore di androidi, 1968) di Philip K. Dick, cui è ispirato Blade Runner, rappresenta un universo fortemente polarizzato. Traspare in controluce una batteria di antitesi che sottende al «dispositivo metanarrativo di legittimazione» più accreditato nell’ultimo decennio della Guerra Fredda: URSS vs USA, regime vs democrazia, ideologia vs verità, monopolio vs libero mercato, unificazionevs molteplicità, Jurij Andropov vs Ronald Reagan e, tra le righe, IBM vs Apple. Un esempio cristallino di come il «rapporto fra retorica e dialettica, e l’applicazione di entrambe ai rapporti umani» significhi sempre muoversi tra questi tre motivi: «l’Ordine, il Segreto e l’Uccisione». Il dominatore stabilisce un ordine e per mantenerlo tiene segreta la verità. Scoperta la verità, il dominato tenta di emanciparsi dall’ordine imposto tenendo segreta la rivolta. La sovversione dell’ordine e la rivendicazione della verità passano attraverso l’uccisione (anche solo simbolica) del dominatore.

In quello stesso 1984, mentre il videoclip della canzone Two Tribes della band britannica Frankie Goes to Hollywood (che mostra Reagan e Konstantin Chernenko, successore di Andropov, scontrarsi in un match di wrestling in mezzo a un pubblico multietnico) viene proiettato varie volte durante la convention dell’U.S. Democratic Party al Moscone Center di San Francisco, esce il long-term best-seller The Hunt for Red October (La grande fuga dell’Ottobre Rosso) di Tom Clancy, livre de chevet del presidente Reagan e del pubblico statunitense «avido di immaginari trionfi, morali e materiali, sull’“Impero del Male”» rappresentato dall’Unione Sovietica: è il primo di una lunga serie di romanzi sulla minaccia della stessa Terza Guerra Mondiale già copiosamente rappresentata in televisione (con la serie World War III del 1982 per NBC e i film The Day After [The DayAfter – Il giorno dopo] per ABC e Testament  per PBS, entrambi del 1983) e al cinema (Escape from New York [1997: Fuga da New York, 1981] di John Carpenter e RedDawn [Alba rossa, 1984] di John Milius).

Il 3 ottobre 1983 la copertina del settimanale economico «Business Week» ha proclamato: «Personal Computer: and the Winner is…IBM», spiegando che in due anni la International Business Machines Corporation fondata nel 1911 ha conquistato il 26% del mercato mondiale dei pc e che di lì ad altri due anni sarebbe arrivata a quota 50% (con un 25% supplementare, appannaggio dei pc IBM-compatibili). Pochi giorni dopo, durante un discorso ai venditori della Apple riuniti alle Hawaii, prima di lanciare una preview dello spot di Clow e Scott, Jobs racconta la (prei)storia del pc a partire dal 1958 e la competizione iniziata nel 1981 tra Apple e IBM (l’archetipo narrativo è quello di Davide e Golia), preparando con grande perizia il racconto del presente e del futuro prossimo:

 

It is now 1984. It appears IBM wants it all. Apple is perceived to be the only hope to offer IBM a run for its money. Dealers initially welcoming IBM with open arms now fear an IBM dominated and controlled future. They are increasingly turning back to Apple as the only force that can ensure their future freedom. IBM wants it all and is aiming its guns on its last obstacle to industry control: Apple. Will Big Blue dominate the entire computer industry? The entire information age? Was George Orwell right about 1984?

 

Con il suo primo spot, trasmesso in diretta dalla CBS all’inizio del terzo quarto della XVIII edizione del Super Bowl il 22 gennaio 1984 e visto da 96 milioni di telespettatori, Apple tenta di giocare sulla diffidenza dei consumatori statunitensi verso i computer, ancora associati agli incontrollabili e spaventosi HAL 9000 di 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio, 1968) di Stanley Kubrick, Colossus e Guardian di Colossus: The Forbin Project (1969) di Joseph Sargent, Proteus IV di Demon Seed (Generazione Proteus, 1977) di Donald Cammell, MCP di Tron (1982) di Steven Lisberger, peraltro primo film a fare uso estensivo della computer grafica, WOPR di WarGames (Wargames – Giochi di guerra, 1983) di John Badham e il supercomputer di Superman III (1983) di Richard Lester, tutti eredi informatici delle macchine di Modern Times (Tempi moderni, 1936) di Charlie Chaplin. Il gioco dei rimandi è sottile. Dal 1981 il primo pc di largo consumo prodotto da IBM, chiamato semplicemente IBM PC, con schermo monocromatico a fosfori verdi e output solo testo, viene pubblicizzato con una serie di spot che hanno come protagonista Charlot e ruotano attorno al claim «Keeping up with Modern Times», che semplicemente rovescia l’orizzonte assiologico originario del personaggio, trasformando ordine, automazione, efficienza e rapidità in ideali da perseguire: al desiderio di sfuggire agli enormi ingranaggi industriali del vagabondo di Chaplin si sostituisce l’aspirazione dello yes man di IBM travestito da Charlot a diventare un ingranaggio essenziale dell’azienda («become a big wheel in the company»). Durante il Super Bowl XVIII, lo spot 1984 di Apple va in onda poco prima di due spot di IBM, uno generico (Differences) e uno di lancio del neonato PCjr (Bright Little Addition to The Family), in cui Charlot porta a spasso il computer per casa in carrozzina, mentre una voce fuori campo ne spiega le qualità.

 

 

ibm85pces1of2L’incontro è storico: entrano in collisione due miti, ovvero due tentativi speculari di trasformare «la storia in natura» mediante congegni narrativi strategici. IBM cerca di riscattare le proprie macchine rifunzionalizzando la figura di Charlot, Apple cerca di ripristinare il carattere orwelliano dell’avversario per potersi configurare come alternativa libertaria. Lo stesso segno storicamente determinato (il significante “computer” associato al significato ‘macchina automatizzata in grado di elaborare dati’) diventa significante di due meta-segni i cui significati, ugualmente arbitrari, sono definiti da due diverse strategie di marketing: 1) il computer è lo strumento per integrarsi perfettamente nella società “moderna”, 2) il computer è lo strumento di liberazione dagli ordini precostituiti. La stessa cosa accade in parallelo ai segni “Charlot” e “Big Brother”, degradati a significanti arbitrari di due meta-segni commerciali e quindi anestetici.  Le due coppie di meta-segni (computer 1 + Charlot; computer 2 + Big Brother) sono il nucleo dei due miti in questione. Due «concetti» precari, «la cui unità e coerenza dipendono soprattutto dalla funzione» attribuita loro dalla strategie comunicative che li hanno prodotti e che essi tentano di naturalizzare. Due casi precoci ed esemplari di uso dello storytelling per la costruzione del brand, albori di quel «capitalismo della passione» che si affermerà negli anni Novanta attraverso «una reinvenzione e una ri-percezione del sistema» su cui poggia la civiltà occidentale: il prezzo, il profitto, il denaro vengono trattati come valuta emozionale, il manager come colui che vive «l’esuberanza del soddisfare gli altri, l’euforia del sentirsi voluto e l’esaltazione della creatività». Si tratta dunque di due diversi (meta)racconti alle radici della contemporaneità che ci interessa, due tentativi dello stesso capitalismo di naturalizzare la storia della tecnologia a vantaggio del singolo brand: da un lato lo spot IBM come immagine di un capitalismo solido, razionale e integrato (dal punto di vista competitivo di Apple: vecchio, asettico e conformista), dall’altro lo spot Apple come immagine di un capitalismo nuovo, energetico e libertario. In entrambi i racconti mitici, l’intenzione tenta di «restare manifesta senza apparire interessata: la causa che fa proferire la parola mitica è perfettamente esplicita, ma è immediatamente congelata in natura; non viene letta come movente, ma come ragione». Apple si accredita come campione dello stesso nuovo sapere che contribuisce a far nascere e che viene entusiasticamente descritto da  Jean-François Lyotard in The Postmodern Condition: A Report on Knowledge (1984, prima traduzione inglese di La condition postmoderne: rapportsur le savoir, 1979):

Il sapere postmoderno non è esclusivamente uno strumento di potere. Raffina la nostra sensibilità per le differenze e rafforza la nostra capacità di tollerare l’incommensurabile. La sua stessa ragione d’essere non risiede nell’omologia degli esperti, ma nella paralogia degli inventori. IBM-PC-Charlot-copy

 

Non dimentichiamo però che le eccentricità paralogiche degli inventori di racconti, la loro capacità di creare scarti linguistici, finiscono per mettere i fruitori delle loro invenzioni, quando sono, come nel caso di Apple, anche i loro clienti, in condizione di vivere il proprio statuto di umanità libera e tollerante, prima e dopo la fruizione degli spot, prima e dopo l’acquisto e l’uso del pc (come di qualsiasi altro prodotto), «solo nell’immaginario, cioè in una fissazione e un impoverimento della coscienza».

 

(Per gentile concessione di Pàtron Editore)