Kiyo (Mori Nana) e Sumire (Deguchi Natsuki) sono due giovani adolescenti di Aomori legate da una profonda amicizia. Insieme decidono di rinunciare a un percorso scolastico canonico per trasferirsi appena sedicenni nel quartiere di Gion, a Kyoto, e intraprendere l’apprendistato da maiko, sognando di diventare delle geisha. Questo l’incipit di Makanai (2023), serie in 9 episodi tratta dal popolare manga di Koyama Aiko, di cui la Palma d’Oro Kore-eda Hirokazu è showrunner, sceneggiatore e regista dei primi capitoli.
Se Sumire viene da subito apprezzata per la sua naturale predisposizione, Kiyo, visibilmente impacciata nelle arti tradizionali, viene invece respinta, ma, lungi dall’abbattersi, trova in breve tempo il suo vero ikigai, la sua ragion d’essere, in cucina, a preparare gustose pietanze per tutte le abitanti della casa. In qualsiasi altra serie la diversa fortuna delle due amiche sarebbe forse sfociata in conflitto, ma nella generosa visione del mondo di Koreeda, Sumire e Kiyo diventano ancora più solidali l’una con l’altra. Ci connettiamo emotivamente a loro mentre si adattano alla vita nella casa delle maiko, un microcosmo in cui le relazioni si formano intorno a un’idea di unità familiare dove si moltiplicano madri e sorelle, ma nessuna è realmente imparentata, eccezion fatta per Azusa (Tokiwa Takako) e la lunatica Ryoko (Makita Aju), realmente madre e figlia. Ryoko rappresenta però a sua volta una eccezione poiché vive con le altre ragazze pur non essendo una apprendista geisha. L’impronta di Koreeda è evidente e ci riporta subito alla mente le famiglie non convenzionali tipiche dei suoi film, come gli Shibata di Un affare di famiglia (2018) – pur senza quell’afflato tragico che caratterizzava la loro sopravvivenza – o le sorelle Koda di Little Sister (2015). Anche in Makanai scoviamo il suo attore feticcio, il sempre straordinario Lily Franky, qui nei panni del Sig. Ren, barista segretamente innamorato di Azusa.
Attorno alla coppia centrale ruotano poi una serie di personaggi estremamente coinvolgenti, grazie a una puntuale caratterizzazione dei ruoli affidati a un ottimo cast: spiccano la scoppiettante Yoshino (Matsuoka Mayu), una geiko (così vengono definite le geisha nella regione di Kyoto) che ha lasciato la casa per sposarsi ma che, pentita, vuole rientrarvi, e la star Momoko (Hashimoto Ai), la cui raffinata personalità pubblica nasconde un ironico senso dell’umorismo e una passione talmente sfrenata per i film horror da trascinare tutte le maiko in una meravigliosa rappresentazione casalinga de La notte dei morti viventi di Romero in occasione del carnevale locale. Un po’ come succedeva in un’altra riuscitissima serie Netflix ambientata in un izakaya della capitale, Midnight Diner: Tokyo Stories (2009-2019), il cibo gioca in Makanai un ruolo da protagonista, sin dalle scene iniziali, sin dalla sigla di ogni episodio, che si chiude con l’immagine del piatto speciale che Kiyo offrirà alle sue “sorelle”.
Cucinare, nutrire, mangiare. Rituali che si trasformano di capitolo in capitolo in delicati detonatori emotivi. Conditi da una narrazione che non procede per colpi di scena ma indugia sui dettagli e i ritmi della quotidianità. Ichigo-Ichie, la definirebbe Momoko, ovvero fare tesoro della natura irripetibile di ogni momento. Appropriatamente, se pensiamo che si tratta di una storia di apprendistato, Kore-eda ha voluto sfruttare il progetto come opportunità per fare da mentore a tre giovani registi: Tsuno Megumi, Okuyama Hiroshi e Sato Takuma. Dopo aver creato questo ennesimo speciale microcosmo e aver diretto i primi due episodi, ha lasciato che i tre giovani dirigessero gli altri sette, sotto la sua supervisione. Ne è scaturito un universo di tale delicato conforto e levità sentimentale da desiderare di trascorrervi ben più dei 9 episodi designati.