L’attentato dinamitardo di Oklahoma City e il massacro di Oslo e dell’Isola di Utoya compiuto da Anders Breivik sono solo due tappe di un lungo percorso unito da quello che più che un filo rosso sembra essere una treccia di fili neri che delineano i contorni di un movimento eversivo internazionale dalle caratteristiche peculiari di cui l’opinione pubblica sembra faticare a riconoscere l’esistenza pur non potendolo ignorare. Il movimento White Power, un’entità fluida e composita, un aggregato di molteplici cellule indipendenti tenute insieme da una fitta trama di simboli, narrazioni e idee che viaggiano per il mondo sfruttando le correnti del web. A partire dal testo sacro del movimento, The Turner Diaries, il romanzo di riferimento di tanti, troppi attentatori costituitisi soldati politici con la missione di accendere la prima scintilla per far divampare una guerra razziale su scala planetaria, Stefano Tevini ci accompagna lungo un viaggio attraverso la narrativa che ha formato e forma a tutt’oggi migliaia di militanti suprematisti bianchi negli Stati Uniti e nel mondo attraverso il suo saggio: White Power – La letteratura come strumento di propaganda fascista: il nuovo immaginario suprematista bianco americano (Red Star Press, pag.160, euro 15). Un libro che riflette sull’impatto delle narrazioni sulla realtà. Per info: https://www.redstarpress.it/prodotto/white-power/
Per gentile concessione di Red Star Press proponiamo un estratto di White Power – La letteratura come strumento di propaganda fascista: il nuovo immaginario suprematista bianco americano
C’è un grande rimosso entro cui una serie di eventi, atti terroristici che hanno segnato la cronaca degli ultimi decenni negli Stati Uniti e nel mondo, trova un orizzonte di senso che pare a tutt’oggi difficile da inquadrare e, soprattutto, da accettare. Eventi come l’attentato che nel 1995 fece 168 vittime ad Oklahoma City (il più grave sul suolo nordamericano prima dell’11 settembre 2001), la sparatoria nella chiesa metodista di Charleston, vent’anni più tardi, a opera di Dylann Roof, ma anche tragedie avvenute in Europa come il massacro perpetrato nel 2011 a Oslo da Anders Breivik vengono interpretati, da stampa e opinione pubblica, come fatti isolati, azioni compiute da lupi solitari, schegge impazzite che coltivano il proprio disagio nel più totale isolamento per poi esplodere in una serie di singoli episodi scollegati di violenza antisistema. Mantenendo le dovute distanze da qualsiasi teoria del complotto, è emerso da anni di attività d’inchiesta e di indagine che un movimento eversivo di carattere suprematista bianco non solo esiste, ma ha raggiunto dimensioni e capacità come minimo preoccupanti. L’efficacia della quantità esorbitante di dati raccolti e organizzati in migliaia di pagine di report, analisi e pubblicazioni a cura di giornalisti, accademici e watchdogs come il Southern Poverty Law Centre (d’ora in avanti SPLC), vero punto di riferimento nel settore, sembra sproporzionatamente bassa quando si tratta di convincere l’opinione pubblica della natura unitaria e concretamente operativa del movimento White Power, che da ora in avanti chiameremo WP.
Complice l’eterogeneità del movimento stesso, una struttura fluida e composita che comprende una moltitudine di entità suprematiste bianche, dal KKK ai neo nazisti, dal movimento Christian Identity agli odinisti passando per la galassia complessa delle milizie locali, la strategia adottata dagli aderenti all’ideologia WP, la Leaderless Resistance (di cui parleremo approfonditamente nei prossimi capitoli) è straordinariamente efficace nel proiettare l’immagine del fenomeno come un’entità frammentata, senza una vera struttura e priva di una reale capacità progettuale, una rappresentazione che ben incontra la percezione di un’opinione pubblica statunitense tremendamente in difficoltà nell’accettare che una delle minacce più pericolose sia rappresentata da cittadini bianchi, conservatori e operosi, così apparentemente aderenti all’ideale di american way of life. Per chi non vive negli Stati Uniti la confusione è persino maggiore, al punto che si arriva a identificare la galassia WP con un movimento più recente come QAnon che, pur facendo uso della medesima strategia e mutuando dai suprematisti bianchi una parte del proprio bagaglio linguistico e ideologico, non si può considerare con esso interamente sovrapponibile. La porzione narrazione che le due entità condividono è tutt’altro che trascurabile, e i punti di contatto non mancano, tuttavia esse rimangono nettamente distinte. Ed è proprio la narrazione, anzi una narrazione in particolare, una delle chiavi di volta per capire un fenomeno come il movimento WP che, nella propria struttura a sciame composta da una quantità di cellule indipendenti che si presentano come scollegate, e spesso in un certo senso lo sono, è fortemente unita dal collante immateriale della condivisione di simboli, terminologia, ideologia e storie. Essa è contenuta in un libro considerato uno dei testi sacri dei suprematisti bianchi: The Turner Diaries. Pubblicato negli Stati Uniti nel 1978 e quasi quarant’anni dopo in Italia con il titolo La seconda guerra civile americana – I diari di Turner da Bietti Editore, il primo romanzo di William Luther Pierce, figura centrale del movimento e fondatore del gruppo National Alliance, struttura una narrazione destinata a diventare un archetipo per il pensiero WP. Il protagonista, Earl Turner, è un ingegnere di razza bianca, combatte in un movimento di resistenza contro il goveno americano detto il Sistema, uno Stato totalitario segretamente controllato da un ristretto gruppo di potenti ebrei che usano i non bianchi, soprattutto di origine africana, come braccio armato e come leva demografica per distruggere la supremazia della razza caucasica mascherando il tutto con le vesti del multiculturalismo. La guerra, portata avanti a suon di attentati che gradualmente destabilizzano il Sistema, culminerà in un’apocalisse atomica da cui il mondo uscirà purificato, una nuova casa per i suoi legittimi padroni bianchi.