Si è da poco conclusa su Disney+ la seconda stagione di The Mandalorian, fortunato spin-off di Star Wars, scritto e ideato da Jon Favreau. Altri 8 episodi all’insegna della trilogia originale che non hanno scontentato né i fan storici né quelli dell’ultim’ora. La Stagione 2 esordisce con un chiaro intento, ovvero proseguire la narrazione di quella precedente, tanto che l’episodio 1 è numerato come nono e inizia da dove tutto, proprio tutto, ha avuto origine, ovvero il pianeta Tatooine. La missione di Din Djarin è trovare i simili del bambino e al contempo i suoi. Le atmosfere del western si mischiano a quelle della fiaba, come già risultava evidente nella prima stagione. Anche in questo caso le citazioni alla trilogia originale si sprecano: l’armatura dello sceriffo Cobb Vanth è infatti quella del mandaloriano per antonomasia, Boba Fett, finito nello stomaco di un Sarlacc ne Il ritorno dello Jedi (1983); lo scheletro di un drago Kryat si era visto nel 1977, proprio in Guerre Stellari; mentre il droide che proietta la mappa è lo stesso modello di quello che i Jawa cercano di vendere a zio Owen, che preferisce R2D2 perché il rosso aveva “il motivatore scassato”.L’Episodio 10, Il passeggero, è un episodio cuscinetto, dalle atmosfere oniriche, e di chiara ispirazione fantascientifica, con ragni giganti dei ghiacci che ricordano i mostri dei film anni ‘50 e uova d’alieno chiaramente ispirate alla rivoluzionaria pellicola di Ridley Scott del 1979. Interessante osservare la gestione burocratica della galassia da parte della Nuova Repubblica con le due X-Wing che cautamente aiutano i nostri protagonisti.
Con l’Episodio 12, o L’assedio, si ritorna ad affrontare l’Impero, si ritorna un po’ anche ad Alderan, che scopriamo essere il pianeta natale di Cara Dune; tornano Lando e Gina Carano, e sul fronte Baby Yoda, sempre più a favore di fan, risulta irresistibile la scena del “furto” dei macarons color puffo attuato con lo stesso potere con cui il Maestro Yoda sollevava astronavi. Ma è con l’episodio 13, La jedi, che i cuori dei fans (e degli amanti del cinema) non possono che vibrare profondamente. Per le atmosfere, per la scenografia, per la fotografia, che mette in luce la potenza iconografica delle spade laser che emergono da nebbia, polvere e pulviscolo, per l’evidente incontro tra Sergio Leone e Akira Kurosawa in ogni piega dell’ambientazione, per un duello tutto al femminile a metà tra Kill Bill e Miyazaki, per i riferimenti alla seconda trilogia in ordine di produzione, quella delle genesi di Darth Fener, per la radicalizzazione del sentimento d’amore tra padre e figlio, e per la tenerezza dello scoprire finalmente il vero nome di Baby Yoda: Grogu. E come se le emozioni non fossero sufficienti, Jon Favreau e Dave Filoni, regista dell’episodio, ci regalano una perla, un commovente ritorno: il grande e indimenticato Michael Biehn, Kyle Reese di Terminator (1984), Hicks di Aliens – Scontro finale (1986), nel ruolo del comprimario Lang. Se qualcuno avesse ancora dubbi circa la purezza dell’anima starwarsiana di questa serie, allora guardi l’episodio diretto da Robert Rodriguez, che ci catapulta, nel pieno del suo stile, in un accerchiamento alla luce del sole tra rocce e sterpaglie, in un episodio nel quale compaiono financo i dark troopers, ibrido tra i nazgul tolkieniani e le sentinelle nemiche degli X-Men, ma ancora, più di tutto, più ancora della connessione di Grogu con la Forza, c’è una sorpresa che Favreau teneva in serbo dalla prima stagione, che ci regala facendoci tremare d’esaltazione e ricordandoci cosa sia veramente Star Wars: lui, che non è mai morto, lui, l’unico in grado di fermare l’inarrestabile Han Solo, lui, una delle figure più fortunate della trilogia – nonostante fosse solo un personaggio secondario – e senza il quale non avremmo il protagonista di questa straordinaria serie. Sì, lui, Boba Fett. Un Sarlacc non poteva fermare il cacciatore di taglie più temuto della galassia.
E non è l’unico personaggio a fare incursione qui dalla prima trilogia: grazie alla computer graphics, infatti, possiamo ritrovare l’eroe della Resistenza, il cavaliere Jedi, rigorosamente in nero e rigorosamente con mano meccanica, elementi che lo rendono riconoscibile anche sotto il mantello: nell’ultimo episodio, a salvare i protagonisti dagli spietati dark troopers arriva Luke Skywalker. Rispetto a una ricostruzione digitale fredda, risulta forse più emozionante la sua apparizione ne Gli ultimi Jedi (2017), tuttavia, Fraveau ha fatto con questa serie ciò che JJ Abrams e Rian Johnson non sono riusciti a fare con la terza trilogia: far rivivere le atmosfere e la dimensione epica della prima. La seconda stagione di The Mandalorian si conferma, dunque, insieme a Rogue One, il miglior spin-off di Star Wars di sempre. E se le vicende di Din e Grogu paiono terminate, Favreau, in pieno stile Avengers/MCU, predispone una scena post titoli di coda che apre al nuovo spin-off dello spin-off: The Book of Boba Fett. Non resta che attendere dicembre 2021.