«Los Angeles, 30 maggio 1991. La sirena suona. Usciamo dal time out con 12 secondi da giocare e la certezza che la verità è adesso. Se vinciamo stasera i Lakers non riusciranno ad arginare il nostro entusiasmo…».Racconto di formazione e storia di fallimenti e resurrezioni sul rettangolo di gioco come fuori (ci ha insegnato Muhammad Ali: «Nella vita come sul ring non c’è niente di sbagliato nel cadere a terra. Quello che è sbagliato è rimanerci!»).
Ventiquattro secondi – Autobiografia di Vittoriano Cicuttini (ed. 66thand2nd pag.332, euro 18) è il diario in prima persona del (fantomatico) primo giocatore italiano in Nba (in realtà il primo fu il grande Enzino Esposito seguìto poi da Stefano Rusconi): V. Cicuttini – “Ci-cou-tini” per gli americani – cresciuto dal padre a Ipplis, Friuli, ed ex ragazzino troppo alto per la boxe, poi diventato cestista grazie a un amico. Dalle palestre di provincia al professionismo, sempre più su, fino alle stelle del basket statunitense. Una vita come un romanzo (o viceversa). La storia di un “lungo” italiano dalla mano morbida capace di agguantare le vette NBA. Anche se ha un finale degno di Toro scatenato, Ventiquattro secondi di Simone Marcuzzi mi ha in parte ricordato il bel film sportivo Veloce come il vento di Matteo Rovere. Entrambi i giovani autori italiani mescolano storie di provincia ed epica sportiva ed entrambi si richiamano a un modello narrativo evidentemente “americano”, o meglio poco battuto, poco percorso dalla letteratura e dal cinema italiani. Lo sport è spesso visto con snobismo da molti “autori”, perché non lo conoscono, non lo praticano o semplicemente non ne vedono tutte le potenzialità narrative e, soprattutto, di profondità umana e di vita. Il romanzo di Marcuzzi ha poi come vera anima l’“american dream” di qualsiasi giocatore/appassionato di pallacanestro, ovvero, giocare (da protagonista) in Nba e raggiungere perfino i playoff. L’autore ha il pregio raro di dare un ritmo quasi “sportivo” alle pagine: la lentezza dei giorni della scoperta di un talento e della fatica per farlo maturare, la rapidità di una giocata decisiva e, di nuovo, i tempi dilatati, a tratti epici, il fiato sospeso per un tiro libero decisivo da professionisti, l’eco della sirena nell’arena di gioco. Cuce insieme dramma personale (Cicuttini è orfano di madre) e la forza di risollevarsi (non a caso in esergo si cita Phil Jackson: «Si tratta solo di quante volte sei disposto a rialzarti per tentare un’altra volta.») Ecco perché questo libro si legge “come un film” e allora non sembra proprio un caso che il tempo di un’azione di basket, che dà titolo all’opera, e la genesi del cinema (24 fotogrammi al secondo) condividano l’essenza e l’elemento fondativo in un numero. Marcuzzi ha interiorizzato il grande cinema sportivo (specie cestistico come Hoosiers di David Anspaugh con cui il “viceallenatore” Dennis Hopper vinse l’Oscar da non protagonista), i romanzi del calibro di Corri coniglio di John Updike e di La mia stagione no di Pat Conroy, e soprattutto l’Nba vista da spettatore. Del gioco americano si percepiscono tutti i dettagli più evocativi, dagli elementi cromatici, al chiasso caloroso che incita la squadra a difendere «De-fense, de-fense», fino alla musica dell’organo “pagano” che suona la carica in attacco sin dalla prima pagina narrata in flashforward. Questo libro è scritto con cuore e sudore, coglie l’essenza del basket e pare dirci con Rasheed Wallace che: «Ball don’t lie»