Recentemente si è tornato a parlare di Witold Gombrowicz grazie ad Andrzej Zulawski che ha tratto il suo Cosmos dall’ultimo romanzo, uscito nel 1965, dello scrittore polacco. Non è la prima volta che le sue opere arrivano al cinema, nel 1991 Jerzy Skolimowski ha girato 30 Door Key (tratto da Fedydurke, grottesca storia di un personaggio che dall’età matura ritorna alla pubertà) e nel 2003 Jan Jakub Kolski ha portato sullo schermo un’opaca versione di Pornografia. Nato a Małoszyce nel 1904, dopo gli studi di filosofia a Parigi e la vasta notorietà raggiunta nel ’37 con Ferdydurke, Gombrowicz venne sorpreso dalla guerra in Argentina. Vi era sbarcato da pochi giorni e scelse di rimanere. Mentre non pochi dei suoi compatrioti si affrettarono a tornare in Europa, lui fu felice di esserne lontano. Riuscì subito a mimetizzarsi nella colonia polacca di Buenos Aires; e trovato un lavoro rimase nel subcontinente per oltre un ventennio. Ritornò poi in Europa e dopo un soggiorno a Berlino si stabilì in Francia dove è scomparso nel 1969 a Vence. I suoi romanzi, i racconti, i due volumi del Diario e i testi teatrali esprimono gli aspetti di una condizione esistenziale tragicomica e cercano di cogliere le convenzioni sociali, le insidie della cultura e l’intima essenza dell’uomo. Probabilmente la sua opera più rappresentativa è Trans-atlantyk, il secondo dei suoi quattro romanzi, e il mondo che ne è oggetto offre ancora delle resistenze, uno spessore. La storia e la comunità polacca della capitale argentina, l’autobiografia e ogni destino recano ancora le stimmate della realtà: prima che il visibilio del fantasticare vanifichi le cose nella comica dimensione dell’irrealtà, quelle stesse cose meritano un residuo di attenzione e Trans-atlantyk è un sistema chiuso per il passaggio dalla satira iniziale alla metafisica di Pornografia e Cosmo. Al centro del romanzo troviamo dunque un piccolo mondo di ruminanti emigrati; e dentro questo, come un verme in una mela, l’agitazione e lo smarrimento di Gombrowicz. Ma l’autore, l’eroe, più che smarrito è dominato dalla “paura per assenza di paura”. Quasi subito è stato chiaro che la polonità si era trasferita pari pari al di là dell’oceano. E la polonità è la degradazione, l’umiliazione, perfino la beatitudine sadomasochista- tutto ciò che diventa bersaglio del malessere dello scrittore e oggetto della sua ferocia, dell’abiura. Ovviamente simile abiura non può che produrre il vuoto, vale a dire l’orizzonte di senso nel quale si inscrive il racconto. Il vuoto, il nulla, cui da oggi in poi è necessario opporre niente meno che la cialtroneria, l’eccelsa aberrazione, la grandezza che ne può derivare.