A Tener-a-mente, il Festival del Vittoriale, Diana Krall deve trovarsi benissimo. Dopo il concerto del 2019 è tornata per un altro impeccabile live: evidentemente l’anfiteatro è davvero la location ideale per esaltare il suo raffinato e pensato suono. A Gardone Riviera si è avuta la conferma che il suo percorso continua nella direzione di un’evoluzione sempre più crepuscolare e intimista. Il progetto della pianista, canadese, dopo trent’anni di carriera, appare chiaro: recupero, decostruzione e montaggio di materiali scelti con estrema cura, da Jimmy McHugh a Bob Dylan, (metodo nato dalla frequentazione del grande e compianto Tommy Li Puma, al quale è dedicato This Dream of You, 2020, ultimo album che per la prima volta non la vede sulla cover, quasi ad esaltare l’opera a scapito dell’artista, Diana è infatti ritratta sul retro ed è sfocata…). Ieri sera, ad esempio, ha eseguito I’ve got you under my skin di Cole Porter: solo conoscendo la versione originale ti arrivava l’enormità del processo creativo. E se si pensa a But Beautiful, canzone che dal 1947 è stata reinterpretata da tutti (Nat King Cole, Chic Corea, Bob Dylan, Bill Evans, Billie Holiday, Stan Getz, Shirley Horn, Lady Gaga…) si rimane ammirati e soggiogati dall’incredibile versione di Diana Krall, con la commozione che si fa largo quando la voce penetra la notte e sembra tuffarsi nel lago.
Ciò che conta maggiormente per la signora Costello è il senso di intimità che attraversa tutta la sua musica, in quest’ottica acquistano un’enorme importanza i testi degli standard (“A casa dei miei genitori si ascoltava sempre Frank Sinatra, Nat King Cole, Billie Holiday, Oscar Peterson, Gershwin… Per molto tempo il mio universo musicale è stato quello, ero immersa negli standard immortali. Il rock non mi dispiaceva, ma non trovavo nulla, nel repertorio contemporaneo, che avesse l’eleganza e la raffinatezza di quella musica, di quelle parole”). Testi che spesso trattano l’amore, riproposti magnificamente dalla voce sempre più matura e consapevole di Diana, che ha calibrato una scaletta che di fatto è risultata essere un viaggio nel tempo, un distillato di sapienza, intelligenza e gusto. Alla resa del concerto ha dato un contributo decisivo il trio che l’accompagnava formato dal chitarrista Anthony Wilson (con lei dall’album Live in Paris, 2002) è di fatto una sorta di co-leader del gruppo, basta notare come ha condotto il quartetto durante la conturbante e dylaniana Simple Twist of Fate, mentre Robert Hurst (contrabbasso), una carriera nelle formazioni di Branford e Wynton Marsalis e Karriem Riggins (batteria), con la pianista dai tempi di Quiet Nights (2009), sono apparsi dei fidati compagni d’avventura.