Dal vivo sono tra i migliori al mondo in ambito rock, e la cosa è assodata in quasi tutto il pianeta; forse cominciamo finalmente a capirlo anche in Italia, dove hanno faticato più che altrove a imporsi. Ma ormai pare cosa fatta, visto il folto pubblico che sabato 17 ottobre ha riempito il Palaforum di Assago (settemila persone) e il consenso unanime maturato con il concerto milanese,salutato da un’ovazione finale che ha fatto seguito a un clima di esaltazione collettiva durante un’esibizione di tre ore. Ne seguiranno altri, a Firenze, Roma e Padova, per accontentare le richieste provenienti da tutta la penisola. Sezione ritmica portentosa, il violino a creare atmosfera, i fiati a garantire variazioni e poesia, le chitarre a ricordarci che il terreno preferito è il rock, ma che R&B, soul, jazz, funk e folk non sono terre sconosciute e che perfino la musica irlandese non ha segreti per i magnifici sette arrivati dall’America. Loro sono la Dave Matthews Band, con il cantante e chitarrista australiano trapiantato in Virginia, David John Matthews, alla testa di un gruppo che dirige dal 1991 e che oggi,dopo qualche cambio di line up, annovera Tim Reynolds alla chitarra elettrica, Carter Beauford allabatteria, Stefan Lessard al basso elettrico, Boyd Tinsley al violino, Jeff Coffin al sax, Rashawn Ross alla tromba.
Approccio misurato con la voce e la chitarra di Dave che iniziano piano e poi gli strumenti che si aggiungono uno all’altro raggiungendo nel giro di pochi minuti varietà, complessità, calore e potenza di suono che caratterizzeranno il concerto in tutta la sua fluviale estensione.Il regno di Dave è una monarchia costituzionale: c’è spazio per tutti accanto al re, e ciascuno trova il momento dell’assolo, della cavalcata personale. Ma è insieme che i musicisti danno il meglio, in questo differendo un po’ dalle jam band classiche: la cifra stilistica del gruppo è infatti un suono pieno, rotondo e mai uguale a se stesso, dato dall’armonia perfetta, dall’alchimia che sprigiona dalla combinazione di interventi musicali che procedono insieme anche quando paiono dissonanti. E la voce di Matthews, che richiama quella di Eddie Vedder, che a tratti ricorda Ben Harper, ma in fondo ha un timbro speciale anche senza cercare paragoni, conduce il gioco con appassionata efficacia. Se gli spettatori più attenti restano incantati dalla citazione dei Led Zeppelin, dal richiamoa Elvis, della ripresa di un pezzo di Prince o di un riff di Keith Richards, in tutti gli altri dimora chiarala sensazione di un altissimo livello nella qualità dei brani proposti e nell’esecuzione. Manca la hit, forse; non c’è la canzone che segna irrimediabilmente un’epoca e si presta a un’immediata riconoscibilità, anche se Crash Into Me, Time Bomb o Don’t Drink The Water sono perle note: ma tutti i pezzi del repertorio sono di grande bellezza, e l’omogeneità si produce su vette di eccellenza. Musica di notevole spessore, dunque, senza fronzoli ed effetti speciali, se si esclude un uso fantasioso delle luci e una produzione video che punta sui colori più che sulle immagini. Ma i botti vengono da chi suona e da chi canta. Musica potente? No, potenza della musica.