Il cinema di qualità, non vedendo un grande presente, guarda al passato e assume un vago sapore di jazz. È emerso a Mantova, alle Giornate della FICE (Federazione Italiana del Cinema d’Essai), che raggruppa 813 schermi sui circa 4000 del nostro paese. Lo sguardo all’indietro segue il fronte delle storie, perché il film premiato come migliore della stagione passata è Il giovane favoloso di Mario Martone, sulla vita di Giacomo Leopardi, che si è distinto pure al botteghino. Ma racchiude dentro sé anche il futuro, perché il riconoscimento tributato alla Cineteca di Bologna riconosce una delle imprese riuscite del genio italiano: partendo dal Festival del Cinema Ritrovato, che ha trent’anni ed è copiato in tutto il mondo, la Cineteca può oggi vantare laboratori di restauro delle pellicole disseminati per il pianeta (ne ha aperto uno a Hong Kong) e ben ottanta dipendenti, come ha sottolineato con trattenuto orgoglio il direttore Farinelli: “Con la cultura si vive: in Piazza Maggiore può capitare di vedere 5000 spettatori paganti che ridono per un film di Buster Keaton. Una sfida vinta”. E il jazz, che c’entra? È stato il grande trombettista Paolo Fresu a introdurlo con felice comparazione, ricevendo il premio per la colonna sonora di Torneranno i prati del maestro Olmi: “Il cinema d’essai sa di jazz perché è artigianale, in rapporto diretto con il pubblico, e finché si manterrà così non finirà mai…”.Che non debba finire se lo sono ribaditi, in un contraddittorio a tratti serrato, esercenti e distributori: i primi a sostenere le proprie ragioni con la furia di chi da tempo cerca un interlocutore con la vista lunga e non legato al breve periodo e non lo trova “nei direttori delle case di distribuzione che nei palazzi di vetro romani non sanno cosa piace al pubblico”; i secondi, più pacati ma comunque agguerriti, nella persona del presidente di categoria Andrea Occhipinti, a difendersi passando altrove la palla, con l’affermazione che in Italia si producono troppi film di scarso valore, mentre le risorse (specie quelle pubbliche) andrebbero accentrate. La verità, forse, non sta nel mezzo, perché se è vero che tante sono le opere in attesa di distribuzione, chi poi decide i tempi delle uscite non fa strategia ma tattica: così in Italia (e solo in Italia), per cinque mesi non esce nulla, salvo poi trovare l’ingorgo nel periodo invernale, dove si impone la legge del branco, a dispetto di regole e belle parole.